Gualdani: lavorerò per un ceto dirigente preparato e calato nella società civile

- di: Redazione
 
La scuola politica ''Vivere nella comunità'', nel suo impegno a costruire le basi per una classe dirigente preparata e che finalizzi ogni suo sforzo per rendere il Paese migliore e quindi sostenibile, si arricchisce di nuove e qualificate personalità, come quella di Paolo Gualdani, il cui profilo, nel mondo della finanza, non ha bisogno di presentazioni. A lui Italia Informa ha rivolto qualche domanda, anche per capire come la sua professionalità interagirà con gli studenti della ''Scuola''  

Dottor Gualdani, Lei è CEO di Angel Capital Management, uno dei family office più importanti facente capo alla famiglia Moratti, e di Milano Investment Partners SGR (MIP SGR), uno dei principali fondi di venture capital in Italia, ed è neo membro del Board esecutivo della Scuola Politica ‘Vivere nella Comunità’, la prima Scuola Politica apartitica e multidisciplinare in Italia. Una scuola che mira a formare un ceto dirigente più preparato, consapevole e caratterizzato da una spinta all’impegno civile in tutte le sue sfaccettature. Cosa significa per lei fare parte di un progetto formativo così qualificato, prestigioso e unico nel suo genere? 

Sono stato estremamente onorato dall’invito a far parte del board della Scuola e spero di poter essere utile nel contribuire all’iniziativa con la visione dell’investitore in venture capital, sia dal punto di vista personale come professionista, sia lato corporate in virtù della realtà che rappresento come CEO. La speranza è che i giovani della Scuola Politica “Vivere nella Comunità” si avvicinino sempre di più a questo mondo, con una crescente partecipazione alla cultura della imprenditorialità e della assunzione del rischio, perché senza rischio non c’è cambiamento e senza cambiamento non c’è futuro. “Venture capital” significa opportunità, crescita, innovazione, imprenditorialità realizzate in un contesto strutturato e fertile che consente di massimizzarne l’impatto. 

La Scuola Politica vanta alcune delle figure più importanti del nostro Paese come i Professori Cassese, Capaldo, Cartabia, Profumo, Mattarella, insieme a Carlo Messina, Stefano Lucchini, Massimo Lapucci e a molti altri. Cosa rappresentano queste straordinarie personalità per lei e per gli studenti che frequenteranno la Scuola? 

È straordinario che personalità di questo spessore mettano al servizio dei giovani e del futuro le loro competenze e la loro grande intelligenza. Credo che sappia dimostrare la propria grandezza solo chi riesce a dedicarsi alla crescita altrui. La Scuola è stata creata con una cifra unica: associa l’eccellenza delle competenze con una vera generosità del sapere, per formare la nuova classe dirigente italiana. Spero di poter dare un fattivo contributo a questo bellissimo progetto. Come ha affermato il Presidente della Repubblica Mattarella è una necessità del nostro Paese quella di creare luoghi di formazione e di pensiero critico come la nostra Scuola, per questo ringrazio molto i fondatori, i professori Capaldo, Cassese e Presicci.  

La Scuola Politica è composta da un corpo docenti di altissimo livello: professori universitari, CEO, presidenti di società, dirigenti della pubblica amministrazione, manager ed esperti professionisti. La parola d’ordine è multidisciplinarietà, fattore che ancora appare carente nelle Università italiane. Il suo percorso formativo, che si è chiuso con il conseguimento della laurea in economia aziendale con lode presso l'Università Bocconi, l’ha portata molto a frequentare gli Stati Uniti, fra cui la Leonard N. School of Business (New York University) . Cosa crede che manchi come formazione ai giovani italiani per competere alla pari con i loro colleghi esteri? 

A livello formativo e tecnico non abbiamo nulla da invidiare rispetto ai colleghi esteri. La formazione accademica degli studenti italiani non ha eguali al mondo.  Gli ambiti dove siamo invece indietro, salvo alcune eccezioni, rispetto agli USA sono l’accesso a strutture adeguate, come laboratori, campus, acceleratori, “innovation centers” e nuove attività formative “ibride” che coniughino l’istruzione accademica con esperienze “sul campo”, che facilitino il team building e consentano agli studenti di misurarsi con situazioni professionali già durante il percorso di studi. C’è infine un fattore culturale: dovremmo incentivare, come avviene soprattutto in contesti anglosassoni, lo sviluppo di una mentalità aperta al rischio (controllato) e che veda i giovani, già durante gli studi universitari, essere imprenditori di sé stessi, con la consapevolezza che anche il fallimento è un risultato, non certo quello finale, ma una tappa importante verso il conseguimento degli obiettivi. Quello che può “insegnare” un venture capitalist ai giovani, imprenditori e non, è anche ad avere un rapporto costruttivo con gli insuccessi professionali, che fanno parte del percorso di crescita personale: il fallimento non è il contrario del successo, ma un suo presupposto essenziale.

Venendo ad ACM (Angel Capital Management) può spiegarci in concreto cosa fate e di cosa vi occupate? Fra l’altro lei è anche general partner di Milano Investment Partners SGR, un fondo di venture capital italiano.

ACM è stata fondata da Angelo Moratti e rappresenta oggi uno dei principali family office italiani, da sempre focalizzato su investimenti in equity con una filosofia di investimento ispirata al value investing. All’interno di questa strategia, una quota preponderante del patrimonio è allocata in quelli che vengono definiti "private markets". Questo deriva da una vocazione della proprietà a favore degli investimenti diretti, che ha portato a sviluppare una conoscenza tecnica che si è consolidata nel corso degli anni all'interno del family office in ambito Venture Capital e Private Equity, ma anche dall'osservazione, già sul finire del primo decennio del nostro millennio, delle asset allocation dei più sofisticati investitori istituzionali di matrice anglosassone (come gli endowement funds americani) che presentavano una componente molto elevata di asset class cd. "alternative" (venture capital, private equity, real estate, ecc.) nei propri portafogli di investimento. Il nostro modello di riferimento in questo senso è stata la politica di investimento di Yale (definita “The Yale Model”, o anche “The Endowement Model”), sviluppata da David Swensen. Nel 2017 con Angelo Moratti abbiamo deciso di effettuare uno "spinoff" delle attività di Venture Capital e di fondare insieme Milano Investment Partners SGR S.p.A. (MIP), una Società di Gestione del Risparmio specializzata in Fondi di Investimento Alternativi (FIA) con focus sui settori tech e consumer lifestyle, che mira a diventare una delle principali piattaforme di Venture Capital nel settore Consumer-tech in Europa. Tra le società presenti nel portafoglio di quello che al momento costituisce il fondo flagship della SGR (il FIA MIP I) - attivo da giugno 2018 e totalmente investito – annoveriamo, tra le altre, Miscusi, Poke House, Manebì, Colvin, La Passione e Velasca. MIP I, attraverso le sue partecipate, coinvolge lavorativamente oltre 2000 persone con un’età media sotto i 30 anni, e gli imprenditori che guidano queste società sono principalmente “millennials”. Nel corso del 2022 prevediamo di lanciare il secondo fondo flagship (MIP II), che resterà focalizzato su consumer tech e lifestyle, principalmente in Italia e Sud Europa, per supportare - mediante l’apporto di capitali, competenze e relazioni - la crescita internazionale e digitale di aziende ad alto potenziale. 

Prima di essere nominato amministratore delegato, Lei ha guidato per oltre 10 anni la divisione investimenti diretti del family office, che si concentra principalmente sulla fornitura di capitale di crescita alle aziende consumer-tech / lifestyle. Come valuta l’attuale situazione italiana in ambito investimenti in startup?

L'economia italiana è la quarta più grande in Europa, ma l'Italia è solo la dodicesima per gli investimenti in venture capital nel nostro continente, con 3,6 miliardi di euro raccolti negli ultimi cinque anni. Il valore d'impresa combinato delle startup italiane è di 21 miliardi di euro, classificandosi al 14° posto in Europa. Questa disparità dimensionale tra il venture capital italiano e degli altri Paesi europei è dovuta a diversi fattori. Innanzitutto, la platea degli investitori e degli operatori professionali operanti in questo settore è ancora limitata, e mancano quindi capitali adeguati: sebbene l'importo del finanziamento totale stia aumentando ogni anno, è ancora molto inferiore rispetto agli altri paesi Europei. Nel 2021, rispetto all'Italia, Germania, Francia e Spagna hanno avuto rispettivamente 13 volte, 7 volte e 3 volte tanto la quantità di capitale impiegata nelle startup. Poi c’è il problema dei pochi laureati e della fuga dei cervelli: l'Italia ha una delle percentuali di laureati più basse in Europa. Il 20% della popolazione italiana di età compresa tra i 25 e i 64 anni era laureato nel 2020, a fronte di una media dell'Unione Europea del 33%. Oltre a questo, spesso i migliori laureati italiani si trasferiscono all'estero, dove trovano retribuzioni più elevate e migliori prospettive professionali. In questo circolo vizioso, dove non ci sono abbastanza laureati e non ci sono abbastanza aziende in grado di attrarli, le startup sono spesso l'eccezione, offrendo opportunità fuori dagli standard.  Infine, l’eccesso di burocrazia è un fattore molto negativo per le start up: le piccole e medie imprese in Italia spendono in media il 52% in più di tempo rispetto alle controparti europee in questioni legate ad adempimenti burocratici. Peraltro, secondo alcuni calcoli questa complessità aggiuntiva costa allo stato circa 7 miliardi di euro, il 2,5% del nostro PIL. Scoraggiati dall’elevata imposizione fiscale e dalla mole degli adempimenti burocratici, molti imprenditori italiani hanno scelto di trasferirsi all’estero per avviare la propria attività. Per far crescere il mercato del Venture Capital italiano, serve uno sforzo comune ed una grande alleanza “pubblico-privato”: angel Investor, family office e gestori del risparmio devono fare sistema, anche attraverso aggregazioni che consentano di raggiungere una scala dimensionale comparabile a quella dei principali player europei, e investire maggiori capitali in questo settore con il supporto imprescindibile degli operatori istituzionali (fondi di investimento governativi, casse, fondazioni, fondi pensione) che hanno l’opportunità di imprimere una spinta decisiva allo sviluppo dell’ecosistema. Serve anche una legislazione che faciliti il fare impresa e agevoli gli investimenti a supporto di nuove iniziative imprenditoriali. In questo senso, negli ultimi anni è stato fatto molto dalle nostre Istituzioni, e bisogna continuare su questa strada.

Un aspetto importante dell’impegno per la Sostenibilità è anche la finanza sostenibile. Quali sono le vostre scelte in questo campo? 

La finanza sostenibile è stata per anni una nicchia dell’asset management, ma recentemente i fattori ESG (environmental, social, and governance) stanno assumendo un ruolo sempre più importante nelle scelte di investitori privati e istituzionali. Come gestori del risparmio, sentiamo forte la responsabilità di generare ritorni importanti per i nostri investitori, operando in maniera coerente con i valori etici in cui crediamo fermamente quali l’integrità morale, il rispetto per l’ambiente, l’inclusione sociale, il rispetto dei diritti umani, la diversità, e contribuendo allo stesso tempo allo sviluppo sostenibile della Società. Nel nostro processo di selezione delle aziende in cui investire riteniamo quindi che l’adozione di parametri ESG sia non solo un criterio etico fondamentale, ma anche un elemento che possa contribuire al conseguimento di ritorni economici significativi. Esistono molti studi e ricerche secondo cui gli investimenti in aziende che si ispirano a criteri di sostenibilità hanno tipicamente orizzonti temporali più lunghi e sani, e tassi di rendimento più elevati rispetto agli investimenti “tradizionali”. In particolare, in MIP I abbiamo in portafoglio diverse società nate con una vocazione ESG, come per esempio Manebì, che ha sempre adottato materiali definiti “naturali” nelle sue linee di prodotto, combinati anche con altri materiali riciclati. Altre aziende, come Foodelux e Colvin, hanno nella propria mission la riduzione degli sprechi, attraverso l’ottimizzazione della supply chain (rispettivamente quella del food e dei fiori). Altre società del portafoglio di MIP I hanno posto criteri ESG come elementi fondanti della propria brand equity: l’esempio principale è Miscusi, diventata recentemente “B-Corp”. Infine, Poke House ha già sperimentato l’adozione di proteine alternative nei propri prodotti e da sempre cerca di privilegiare fornitori etici e sostenibili. Nella strategia di investimento del FIA MIP II l’angolo della sostenibilità giocherà un ruolo ancora più centrale. Ce lo chiedono gli investitori istituzionali, che stanno sempre più integrando il rispetto dei criteri ESG nelle due diligence che effettuano sui prodotti di investimento prima di deciderne la sottoscrizione. Ce lo chiedono i consumatori, che sono sempre più attenti a questo aspetto: la maggioranza dei Millennials e della Gen Z tiene in considerazione gli aspetti di sostenibilità nelle proprie scelte di acquisto. E soprattutto ce lo chiede la nostra coscienza.

Nella Scuola Politica “Vivere nella Comunità” si parla molto di educazione finanziaria ed economica visto il protocollo di collaborazione che avete siglato con la FEduF, la fondazione presieduta da Stefano Lucchini. Quanto sono importanti per lei, che si occupa di finanza ed investimenti quotidianamente, questi temi? 

L’educazione finanziaria ed economica è un fattore determinante per la maturazione di un’economia innovativa e Feduf sta svolgendo un lavoro importantissimo nello sviluppo di una cittadinanza attiva su questi temi, educando gli italiani alla dimensione finanziaria sin da giovanissimi, in uno scenario che è molto diverso dal passato.  Per moltissimo tempo l’investimento delle famiglie si è basato su titoli di stato e prodotti finanziari “liquidi", ma con l’attuale contesto macro caratterizzato da tassi di interesse prossimi allo zero, unito a delle valutazioni borsistiche dei corsi azionari che hanno raggiunto i massimi storici, è indispensabile educare le nuove generazioni a un approccio all’investimento “multi-asset”, che tenga conto di proposte con durata e rischio diversi. La diversificazione degli investimenti ed il risk management sono fattori ancor più importanti che in passato.
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