Eurovision: ha vinto la retorica del volemose bene

- di: Barbara Leone
 
Deve esserci qualcuno che continua a spostare la soglia del ridicolo. Mai come oggi le parole di Ennio Flaiano rimbombano in tutta la loro cruda verità. Rimbombano, sì. Perché mentre l’Ucraina è martoriata dalle bombe, in quest’altra parte d’Europa si esulta senza ritegno alcuno perché a un concorso canoro ha vinto una canzone che, oggettivamente, è bruttina. Ma siccome a proporla è un gruppo ucraino non gliela vuoi ammollare la vittoria? Ovvio che sì, E difatti il risultato dell’Eurovision, che ha visto trionfare “Stefania” del gruppo ucraino Kalush Orchestra, è a dir poco ovvio, banale e scontato. Alla base c’è un equivoco di fondo, perché ci si ostina a giudicare la musica (e l’arte in genere) in virtù della bandiera che l’accompagna. Premesso che l’Eurovision song contest, che un tempo si chiamava molto più banalmente Eurofesival e ci piaceva di più, è stato un gran bello spettacolo televisivo. Complice la ridondante scenografia, le luci a effetto, le ampollose coreografie, la raffinata regia di Duccio Forzano e l’encomiabile trio che l’ha presentato. Eccezion fatta per gli improbabili outfit in stile circense della Pausini, ma codeste son quisquilie e pinzillacchere assolutamente marginali. Premesso tutto ciò: lo spettacolo, Torino in festa, la Cristoforetti e pure la Cinquetti, che in tutto quel baillame di rap, trap e schiamazzi vari ha fatto la sua porca figura pure se non ha più l’età, ma all’incontrario stavolta. 

Peccato che si sarebbe dovuta premiare la canzone più meritevole, e non una bandiera

Il punto è un altro: le canzoni. Ok, dobbiamo rassegnarci al fatto che il livello oramai è quello che è: medio basso, o forse siamo noi a non comprendere appieno la profonda poetica dei vari Achille Lauro, Mahmood e compagnia cantando. E però in una kermesse canora dovrebbero essere le canzoni le protagoniste assolute. Belle o brutte che siano. E quella che ha vinto non è bella. Nel piattume (o pattume, secondo i punti di vista) musicale che ha contraddistinto l’Eurovision song contest c’era comunque di meglio di quella canzonetta ucraina che non era folk, non era rap, non era pop. Praticamente non era. Ad esempio l’ironica “Give that wolf a banana” del duo norvegese Subwoolfer che aveva un certo piglio, sicuramente una propria identità. Così come la melodica ballata portoghese “Saudade, saudade” non era affatto niente male. Finanche i “Brividi” dei nostri Mahmood e Blanco potevano meritare il podio, tant’è che si sono aggiudicati il Best lyrics award, ovvero il premio per il miglior testo. La verità è che all’Eurovision 2022 ha vinto la retorica del volemose bene e del mettete dei fiori nei vostri cannoni. Tutto giusto e tutto bello, bellissimo, per carità. Peccato che si sarebbe dovuta premiare la canzone più meritevole, e non una bandiera. Vogliamo poi parlare del messaggio di Zelensky, con tanto di appello a votare la Kalush Orchestra codice numero 12? Ma siamo seri? Pareva una televendita dei materassi, eddai. Cioè, il tuo popolo tutti i giorni viene massacrato dalle bombe, e tu pensi al televoto dell’Eurovision. Un televoto politico: infatti i voti più consistenti sono arrivati dalla Moldavia, dalla Polonia, dalla Romania. In pratica dai Paesi confinanti che hanno toccato con mano la disperazione della guerra. Non solo: l’indaffaratissimo presidente ucraino ha detto pure che il prossimo anno vorrebbe ospitare l’Eurovision a Mariupol. La stessa Mariupol che oggi è rasa al suolo. Ci vorrebbe proprio un miracolo della Madonna, quella vera, non la popstar. 

Un vero messaggio di pace lo avrebbe davvero dato non espellendo Sergey Lazarev, il cantante che doveva gareggiare per la Russia

Qui siamo al delirio. Putin ha sicuramente dei seri problemi mentali, ma pure questo non sta troppo bene di testa. Va bene che quella tra Russia e Ucraina è la prima guerra dell’era social, ma forse si sta un tantinello esagerando. I morti non sono degli avatar, e nemmeno i soldati. E la musica, l’arte, da quella porcheria che è la guerra ne dovrebbe rimanere fuori, sempre e comunque. Pensano di aver dato uno schiaffo a Putin facendo vincere il gruppo ucraino. Pensano di aver dato un bel messaggio. Invece questo Eurovision song contest un vero messaggio di pace lo avrebbe davvero dato non espellendo Sergey Lazarev, il cantante che doveva gareggiare per la Russia. Allora sì che avrebbero messo i fiori, anzi le note, nei cannoni. A dimostrazione che l’arte è superiore alle miserie umane e ai falsi buonismi da politically correct. Ed è soprattutto un ponte che unisce veramente i popoli del mondo intero al di là delle divisioni, delle guerre, delle follie. Al di là di tutto. Quella sarebbe stata una vittoria ed uno schiaffo morale: i rappresentanti di due Paesi in guerra che pacificamente condividono lo stesso palco. Il resto è melensa e inutile retorica da baci perugina. Oggi l’Eurovision, domani i Mondiali di calcio, il Torneo di Wimbledon e pure il Super Bowl. L’importante è vincere, alla faccia di Putin e di tutti i russi brutti sporchi e cattivi. The show must go on.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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