Cosa resterà di questo Sanremo?

- di: Barbara Leone
 
Tutto inizia e tutto finisce. La vita, la giovinezza, l’amore. E pure Sanremo. Insomma è andata. Ed è andata come doveva andare: ha vinto Marco Mengoni. Una vittoria annunciata e prevedibile, del resto non è che avesse chissà quanti e quali rivali. E’ stato in testa alla classifica praticamente dalla prima all’ultima serata e, in definitiva, se il Festival deve premiare il miglior interprete ha vinto quello più bravo. E con una marcia in più, ovvero la sua voce. Poi vabbè, mettici pure il fisico scultoreo messo furbescamente in bella mostra e quell’aria da Gesù in croce e voilà. Ecco che il gioco è fatto. Per non parlare del paraculissimo fuori programma fatto dal cantante, che ha voluto dedicare il premio alle donne escluse dal podio, visto che nell’ultima cinquina erano tutti maschietti. Viva le quote rose pure in musica, insomma, manco le donne fossero una specie di koala in via di estinzione da proteggere in ogni dove. Ma tant’è, tutto scontato e secondo copione. Meno scontati, e a nostro avviso assurdi, sono stati il secondo posto di Lazza e, ancora di più, il terzo a Mr. Rain. Uno che, chissà perché, negli ultimi anni era sempre stato scartato dal Festival e che scrive canzoni che non se le fila nessuno. Nemmeno radiobaubaumiciomicio. Evidentemente li ha presi per sfinimento, e ha avuto ragione lui visto il risultato. Sicuramente un ottimo esempio di tenacia, e pure di ego gonfiato a manetta. I bambini, però, magari lasciamoli allo Zecchino d’Oro la prossima volta. Musicalmente cosa resterà di questo Sanremo? Francamente poco.

Mengoni vince il festival delle polemiche

Mengoni a parte, sicuramente la bella scrittura (ma non l’interpretazione) di Ultimo, il duetto da brivido di Giorgia ed Elisa, l’esplosiva performance dei Depeche Mode e quella nostalgica del trio Morandi-Al Bano-Ranieri, Grignani che pur non essendo in voce pare tornato tra noi, il carisma di Madame, gli arrangiamenti accattivanti ed il testo assolutamente sopra la media di Colapesce e Dimartino, un’interessante e promettente Ariete, le stonature di Facchinetti dei Pooh e il siparietto Villa Arzilla targato Gino Paoli e Ornella Vanoni (in due momenti diversi in barba a chi sperava in una reunion, perlomeno artistica). Un minestrone, insomma. Che, per carità, può far bene un giorno, due magari tre ma poi anche basta. Soprattutto non resterà nulla, ma proprio nulla Mengoni compreso, di memorabile. Del resto non è un caso se tra i migliori album della storia quelli realizzati negli anni Sessanta e Settanta rappresentino ancor oggi quasi la metà del totale, mentre ad esempio gli album scritti nel primo decennio del Duemila non arrivano nemmeno al 20%. Molto banalmente anche le canzoni rispecchiano la pochezza e mediocrità dei nostri tempi. E’ cambiata le fruizione, la scrittura e delle care vecchie gavette di un tempo nemmeno l’ombra. E i risultati si vedono, e si sentono, tutti. Che Sanremo non sia più il Festival della canzone italiana è cosa nota e arcinota. Tant’è vero che di questa edizione se ne parlerà ancora a lungo ma non per la musica bensì i risvolti politici, vedi la lettera di Zelenskyj e la limonata tra Fedez e Rosa Chemical che molto probabilmente comporterà la caduta di parecchie teste di dirigenti Rai. E resterà, ahinoi, la martellante ed insopportabile volontà di inviare “messaggi” attraverso ridicoli e triti monologhi e persino attraverso orribili abiti. Un circo, insomma, con giullari, equilibristi, pagliacci e qualche musicante (non musicista) qua e là. Alla prossima!
Il Magazine
Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
Iscriviti alla Newsletter
 
Tutti gli Articoli
Cerca gli articoli nel sito:
 
 
Vedi tutti gli articoli