Confcommercio: Più forza lavoro e più produttività per recuperare il gap con l’Europa

 
In Italia c’è un importante problema demografico (tra il 2014 e il 2023 la popolazione in età lavorativa è scesa dell’1,4%) e di produttività del lavoro (solo +7,2% tra il 1995 e il 2022) che ne penalizza la performance economica. Come se ne esce? Migliorando i tassi di partecipazione e di occupazione, ovvero aumentando il numero di quelli che vogliono lavorare tra quanti possono farlo e alzando la quota di quanti lavorano tra quelli che vogliono lavorare. Più nello specifico, bisogna favorire la partecipazione femminile al mondo del lavoro, soprattutto nel Meridione (nell’Unione Europea è al 60,2% contro il 49,3% del nostro Paese). È questo, in estrema sintesi, il quadro che emerge da “L’Italia in Europa, perché non siamo competitivi”, la ricerca dell’Ufficio Studi Confcommercio presentata dal direttore Mariano Bella nella conferenza stampa di apertura della ventitreesima edizione del Forum “I protagonisti del mercato e gli scenari dell’anno 2000”.

Ma entriamo nel dettaglio: negli ultimi dieci anni la popolazione italiana tra i 15 e i 74 anni è scesa di oltre un punto percentuale a fronte del 4,4% della Francia e al +2,1% della Germania. Ciò ha un evidente impatto sull’occupazione e quindi sul benessere economico, visto che “ogni anno che passa il bacino della forza lavoro potenziale si riduce di 100mila unità: non è un mistero – ha sottolineato Bella - che non si trovino lavoratori”. Per uscirne, la migliore risorsa che il nostro Paese ha a disposizione sono appunto le donne: basti pensare che “eguagliando il tasso di partecipazione femminile al valore della Ue-27 avremmo 2,2 milioni di occupate in più”. Per farlo, occorrerebbe recuperare un divario percentuale con l’Europa che su base nazionale è di 11 punti, che salgono a 23 se si guarda unicamente al Mezzogiorno. La soluzione percorribile, dato che “l’evidenza empirica internazionale dice senza ambiguità che più le donne partecipano al mercato del lavoro più fanno figli, è quella di aumentare gli asili nido, le politiche per la genitorialità, la formazione per permettere alle donne di poter scegliere liberamente cosa fare delle loro vite: è la principale, se non l’unica, opzione disponibile per ricominciare a crescere in termini di forza lavoro potenziale. Non sarà facile e non accadrà subito: ma, se non cominciamo non raggiungeremo mai l’obiettivo”, ha detto Bella.

Una possibilità di crescita, complementare a quella dell’espansione della forza lavoro, è l’aumento della produttività, che tra il 1995 e il 2022 è aumentata in Italia cinque volte meno che in Germania e sette volte meno che in Francia. Non perché i lavoratori italiani siano scarsi o sfaticati, ma “a causa del contesto in cui operano lavoratori e imprese, come le scarse performance della PA in termini di efficacia ed efficienza e il sotto-investimento, pubblico e privato, in formazione, istruzione e tecnologia”. È colpa anche delle imprese, perché “in fondo, il prodotto per lavoratore dipende anche dalla quantità e dalla qualità del capitale che gli viene messo a disposizione per lavorare”.

Detto che nell’ultimo anno e mezzo l’Italia ha combattuto con grande successo l’aumento dell’inflazione e che dunque è ora di un taglio dei tassi importante (“gradiremmo il 6 giugno non 25 punti base di taglio, ma un bel mezzo punto, giusto per celebrare una politica ben riuscita e rendere altresì coerenti previsioni e azioni”) il direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio ha concluso con l’aggiornamento delle previsioni macroeconomiche: il Pil crescerà dello 0,9% nel 2024 e dell’1,2% nel 2025, con i consumi rispettivamente a +0,9% e a +1,1%, mentre l’inflazione si collocherà all’1,3% quest’anno e all’1,7% nel 2025.
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