55 anni da medico e ancora lavoro: per i giovani un esempio e un monito

- di: Bianca Balvani
 
La classe medica di casa nostra, nell'immaginario di tutti, è sempre stata vista alla luce di modelli: il medico di famiglia (quella figura quasi mitologica che, fino a qualche decennio fa, se c'era bisogno, ''incredibilmente'' veniva a casa a visitarti, preceduto dalla sua borsa dove c'era di tutto), quelli di cinema e televisione (dal dottor Kildare al suo collega House ai vari anatomopatologi delle serie crime) e gli altri della letteratura (a partire da dottor Mason, de ''La cittadella'' di Archibald Cronin).
Oggi, però, il giudizio della gente è condizionato da tante cose: il numero insufficiente di medici anche per il numero chiuso delle facoltà; quelli che emigrano per guadagnare di più; quelli che semplicemente se ne fregano dei pazienti e si danno malati - loro!!! - per anni, come hanno riferito recenti fatti di cronaca.

55 anni da medico e ancora lavoro: per i giovani un esempio e un monito

E poi ci sono (non sappiamo quanti, ma siamo sicuri che siano tanti, nascosti nelle pieghe della riservatezza e del rispetto per la missione della loro professione) quelli che dovrebbero essere d'esempio, per il solo fatto di non avere voluto tradire il giuramento fatto di essere sempre con e per i pazienti.
L'ultimo esempio, raccontato dal Corriere della Sera, è quello che regala il dottor Pietro Bertolotti, 80 anni, 55 dei quali trascorsi a fare il radiologo. E non è che ora il tanto tempo passato da quando cominciò lo spinga a sollevare i piede dall'acceleratore perché, ogni giorno, per dieci ore, è lì, al lavoro, che confessa di pensare come a ''qualcosa di fisiologico''.

Le sue giornate si dividono tra varie strutture sanitarie in Lombardia, quasi che il tempo non sia un fattore, ma una opportunità per spostarsi da una sede all'altra. Ora, qualcuno potrebbe dire che in fondo se se la sente il dottor Bertolotti può fare quel che gli aggrada. Ma non è questo su cui crediamo sia giusto soffermarci, quanto sul fatto che per lui le giornate sono scandite dal rispetto per il paziente, perché, dice, potrebbe limitarsi a redigere il referto e basta. Lui, invece, quando può, piuttosto che mettere su uno schermo il suo giudizio, incontra il paziente, per parlare con lui, spiegargli, magari accompagnarlo anche psicologicamente verso la consapevolezza di una inattesa patologia o anche di un pericolo scampato.

Un approccio che tutti vorremmo avere da chi indossa un camice e che, pur se carico di lavoro, pur se affaticato o arrabbiato, non è un semplice operatore della sanità, ma anche qualcuno che parla a uomini e donne, che da lui non vogliono essere rassicurati (anche quando questo non corrisponde alla realtà), ma essere trattati da essere umani e con il rispetto che a loro condizione pretende.
Generalizzare, nel giudicare una professione, qualsiasi professione, è un errore in cui incorrono in molti, soprattutto quando non considerano che la classica mela marcia è spesso un episodio isolato e non uno schema. Ma che la professione medica sia cambiata è una evidenza, che è conseguenza della proposizione di modelli che sono distorti dai messaggi che arrivano dai media e dalle finzioni artistiche.
Il medico di campagna ormai è un ricordo, cancellato dalla ricerca dell'affermazione personale. Ma anche questo è un luogo comune, anche se resta forte la tentazione di pensare che, davanti a episodi sconcertanti, Ippocrate si rivolti nella sua tomba, ovunque essa sia.
Il Magazine
Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
Iscriviti alla Newsletter
 
Tutti gli Articoli
Cerca gli articoli nel sito:
 
 
Vedi tutti gli articoli