Comunicare la tenerezza attraverso il nuovo linguaggio digitale. La nuova sfida di Papa Francesco.

- di: Germana Loizzi
 

Intervista a Mons. Lucio Adrián Ruiz, Segretario del Dicastero per la Comunicazione del Vaticano.


Il Dicastero per la Comunicazione è stato istituito da Papa Francesco con Lettera Apostolica del 27 giugno 2015, in forma di Motu Proprio, “L’Attuale contesto comunicativo”. Al Dicastero è affidato il sistema comunicativo della Santa Sede, integrando “tutte le realtà che, in diversi modi, fino ad oggi, si sono occupate della comunicazione”, al fine di “rispondere sempre meglio alle esigenze della missione della Chiesa”. Con tale ristrutturazione la Sede Apostolica si avvale del Dicastero come referente unitario dei processi comunicativi, sempre più complessi e interdipendenti nell’attuale scenario mediatico. Lei è il Segretario di tale Dicastero. A quattro anni dalla sua istituzione, quale bilancio ne traccia rispetto agli obiettivi indicati nel Motu Proprio del Pontefice?
Uno dei principi fondanti della riforma è quello di “ripensare” l’intero sistema comunicativo della Santa Sede al fine di creare un nuovo organismo che possa rispondere alla nuova realtà culturale in cui cammina l’uomo e nella quale la Chiesa deve realizzare la sua missione, con una precisazione importante: valorizzando il grande patrimonio che nella storia la Santa Sede ha avuto. Certamente questi quattro anni, come i prossimi, sono stati e saranno anni molto sfidanti, e sicuramente non semplici. I cambiamenti non sono facili per nessuno. Ma posso senz’altro dire che il bilancio di questi quattro anni è positivo, ricco e fecondo! Grazie a questo percorso, stiamo scoprendo nuove realtà che, con le radici nel grande patrimonio ed esperienza di comunicazione che abbiamo, ci consentono di rispondere alla nuova dimensione che viviamo oggi, quindi ad una cultura digitale, universale, collegata, multiculturale e condivisa. Insomma, cambiare vuol dire intraprendere un cammino, un percorso, che ha i suoi tempi e le sue dinamiche, che implica la gioia della scoperta di nuovi orizzonti ma che è fecondo solo se nasce della croce. Ritorna sempre il Vangelo: se il chicco di grano non muore, non da’ frutto, ma se muore, da’ il cento per cento… Perciò affinchè il cambiamento sia vero, grande, profondo e fecondo deve partire da un processo spirituale in chiave cristiana, quindi dal cuore. Questa è la più grande sfida. A partire da questo punto umano e spirituale, che è essenziale, ci sono stati cambiamenti che hanno riguardato il livello informativo, editoriale, tecnologico, amministrativo, gestionale ed economico. Quindi non si tratta solo di una semplice “riorganizzazione” dell’istituzione, ma di un vero e proprio “ripensamento del sistema comunicativo”. Questo cambiamento tiene sempre conto della persona, la quale rimane al centro di questo processo, con la sua creatività proiettata nel futuro, insieme alla sua ricca storia ed esperienza.

 
E la comunicazione, con l’accelerazione impressa dalla tecnologia negli ultimi 20 anni, vede un grande trasformazione del ‘medium’ rispetto al passato, anche recente. Come garantire la genuinità del messaggio di Cristo davanti a un cambiamento così potente del ‘medium’?
La sfida esiste da sempre perché il “medium” è il mezzo grazie al quale un messaggio viene trasportato, perché allo stesso tempo ha una forza è una debolezza. Per questo motivo può e deve essere inteso come una sfida, non soltanto per la forza con la quale può e deve veicolare il messaggio, ma anche per la forza con la quale deve modellare il messaggio stesso d’accordo con la sua capacità. Ogni medium ha la sua potenza, la sua capacità, la sua forza e la sua originalità, ma ha anche il suo limite che è tanto più rilevante quanto più si affida all’interpretazione che viene fatta da noi uomini. Quindi al limite del medium si aggiunge l’errore d’interpretazione e in certi casi l’ambivalenza di certe realtà e di usi ed applicazioni culturali.
Ad esempio il cellulare o le reti digitali hanno la possibilità di collegare chi sta lontano, ma al contempo rischiano di allontanare chi sta vicino. Se comprendessimo totalmente il limiti e le potenzialità del mezzo che abbiamo a disposizione, avremmo la possibilità meravigliosa di poter tramandare e vivere affetti, sentimenti, messaggi e valori con velocità e molteplicità incredibili.
Però, la responsabilità non è solo di chi lancia il messaggio, ma anche di chi lo riceve, che deve essere capace (e qui è importante sottolineare il valore della formazione delle persona nell’utilizzo degli strumenti della cultura) di utilizzare adeguatamente lo strumento che ha mediato il messaggio stesso. Un quadro può essere bellissimo, ma se chi lo ammira non lo sa apprezzare e non dedica il tempo necessario per la contemplazione, quel quadro perde la propria bellezza dinanzi a quell’uomo.
Se noi usiamo male il medium, il nostro messaggio può essere travisato e confuso e può non raggiungere la meta stabilita (o addirittura contrapporsi).

 
Siamo all’inizio dell’era digitale. Lei ha affermato che in quest’epoca la “tecnologia si fa cultura”. Come si intreccia ciò con la ‘teologia dell’immagine’, tema su cui lei si è intrattenuto più volte?
Ribadisco ciò che asserivo precedentemente: oggi la tecnologica dell’immagine, sia essa fissa (quindi una foto), sia essa in movimento (quindi un video), ha acquisito una potenza enorme.
Da sempre la Chiesa ha considerato la presenza dell’immagine come un canale comunicativo. I dipinti, ad esempio, erano la Bibbia dei poveri, aiutavano chi non sapeva leggere a conoscere la storia della Salvezza. La foto, oggi, si fa veicolo d’affetto per far provare queste emozioni ad una persona lontana o che sta soffrendo, e ci permette anche di ricordare e rivivere dei momenti, cercando di rievocare le stesse emozioni di quegli attimi.
Proprio questa è la funzione dell’immagine: collegare il cuore e la mente con le persone e i momenti che amiamo. Lo stesso principio vale in relazione con Dio, l’immagine ci permette di pensare Lui, sentire la sua presenza, e sperimentarlo vicino, specialmente in quei momenti della nostra vita che si fanno particolarmente difficili…chi ama capisce e comprende questo linguaggio.
A questo proposito, ricordo quando Papa Francesco creò il suo canale Instagram. Lui disse queste parole: “Inizio questo percorso per camminare con voi strade di misericordia e tenerezza”. Infatti, con l’immagine abbiamo cercato di manifestare la vicinanza, la tenerezza, la misericordia, la prossimità specialmente in quei momenti dove tutti aspettiamo una presenza di conforto e compagnia.
L’idea di Instagram nasce proprio della visita ai malati. Portando loro delle foto del Santo Padre che lo ritraevano mentre benedice accarezza a chi soffre, notammo che le persone prendevano queste foto e se le stringevano al cuore. Così abbiamo pensato: “perché non utilizzare ancora di più i mezzi digitali e sfruttare tutti i canali di comunicazione che oggi la tecnologia ci mette a disposizione?”. In questo modo chi non ha la possibilità di conoscere e vedere il Santo Padre dal vivo, potrà comunque ricevere il suo messaggio di affetto, tenerezza e speranza. La tecnologia, se usata bene, può arrivare in maniera profonda al cuore delle persone, nel posto giusto e al momento giusto.

 
Nell’Enciclica ‘Laudato Si’ Papa Francesco afferma che il degrado della natura deriva soprattutto da un disordine politico, economico e sociale, piuttosto che da circostanze biologiche e climatiche. Nella sua riflessione insiste nell’evidenziare il modello di sviluppo ‘tecnocratico’ (diverso da quello tecnologico) tra i principali responsabili della situazione attuale, che, tra l’altro, genera anche un deterioramento della qualità della vita umana e un degrado sociale. In sintesi, Papa Francesco offre un’analisi più integrale di questo problema che affligge ogni abitante della terra o della “nostra casa comune”, come egli chiama il nostro pianeta. Il problema che la tecnologia spinta determini lo sviluppo della ‘tecnocrazia’ è cruciale. 
È importante chiarire la differenza che “Laudato Sì” evidenzia bene tra tecnocrazia e tecnologia. È una questione antropologica: la tecnologia è una creazione umana per trasformare la realtà e migliorare la vita dell’uomo, la tecnocrazia rovescia questo significato. La tecnologia è una realtà riferita all’uomo, la tecnocrazia è quando la tecnologia impone le regole ed esse nascono da interessi economici o di potere, come sottolinea il Santo Padre.
Questo è il problema, ovvero quando si capovolgono i valori: noi non possiamo vivere secondo le regole della tecnologia ma, al contrario, dobbiamo essere capaci di sviluppare ed utilizzare una tecnologia per l’uomo e alla maniera umana.
L’uomo deve sempre e per sempre rimanere al centro di tutto ciò, e questo deve rappresentare il punto fondamentale e l’obiettivo da raggiungere. La tecnologia deve essere al servizio di tutti gli uomini e non soltanto di alcuni, e deve essere per tutto l’uomo e non solo per una parte. L’uomo deve essere consapevole dei limiti che non può oltrepassare e lo sviluppo non può non essere guidato. Quando si crea una cosa bisogna pensare alle conseguenze, se quella cosa stessa è fattibile e a quali rischi si va incontro. Facciamo l’esempio della plastica: quando è stata creata si potevano immaginare tutti i rischi che ne sarebbero scaturiti, perchè sin dal primo momento si sapeva che non era biodegradabile, quindi non era necessario aspettare la contaminazione degli oceani, bastava sin dall’inizio creare la cultura dell’utilizzo come stiamo cercando di fare adesso… Questo è un problema soprattutto culturale, di una realtà che ha privilegiato il guadagno e non ha tenuto conto delle devastanti conseguenze di un “progresso” senza regole e limiti. Progredire non è una realtà  tecnologica, è antropologica, se non è l’uomo in quanto tale a progredire, il progresso allora non è tale!

 
Lei ha affermato che, “come possiamo osservare quasi quotidianamente, Papa Francesco è molto preoccupato per gli effetti che l’inquinamento digitale può avere sulle relazioni sociali, siano esse interpersonali o intercomunitarie. Ancora di più in seno alle famiglie. Il Santo Padre ha insistito sulla necessità urgente di staccarsi dai dispositivi per non disumanizzarsi”. Come e quanto l’attività del Dicastero favorisce invece la crescita della coscienza di un buon uso della tecnologia?
La persona umana deve essere sempre al centro e tutto deve servire ed essere utilizzato per aiutare l’umanità. A me piace domandare ai giovani se, dopo che hanno parlato e chattato ore ed ore al telefono, si sentono più umani, più felici e più arricchiti dal punto di vista personale, se hanno contribuito alla loro crescita personale, a quella dei loro interlocutori e a quella della società.
Ma questo non vale solo per la tecnologia e per i giovani, è una domanda che tutti dobbiamo farci sempre, pensiamo alla politica, all’economia, a tutti gli ambiti della nostra vita personale e sociale. Nel nostro quotidiano ci dobbiamo domandare quanto noi cresciamo e miglioriamo grazie a queste azioni. Tutto deve essere in funzione della pienezza e della felicità della persona umana. Viviamo oggi questo paradosso: nell’era dell’iper-comunicazione assistiamo al fenomeno dell’iper-solitudine. Stiamo tutto il giorno al telefono con centinaia di persone, ma alla fine sono pochissimi coloro che realmente si sentono pieni e realizzati, che hanno approfondito l’amicizia con un amico o con la persona amata e si sentono felici con essa. È questo il punto focale. Spesso si condivide tanto e tuttavia resta tanto vuoto.
Aiutiamo e aiutiamoci ad utilizzare i mezzi digitali per diventare più umani! Quando condividiamo una foto su un social network non facciamolo solo per avere più like, per avere più followers; facciamolo per comunicare speranza, gioia, valori! Condividiamo per crescere assieme, per vivere assieme, per aiutarci a crescere davvero assieme, questo riempirà davvero la nostra vita.
Che bello sapere che, avendo condiviso un momento bello o un’idea buona, qualcun’altro è riuscito ad alzare la testa e a cambiare! Ci deve sempre essere un valore umano nella nostra azione quotidiana, nella nostra comunicazione.

 
Il Vangelo della tenerezza su cui si fonda il Pontificato di Francesco è oggettivamente un fatto rivoluzionario. Può fornirci alcuni esempi di come Papa Francesco contribuisca a questa rivoluzione attraverso i social network? In altre parole, quale appeal ha il Papa sui social?
L’appeal del Papa è dovuto alla sua tenerezza, al suo instancabile desiderio di accompagnare chi soffre! Il Papa cerca perennemente di veicolare il messaggio della misericordia di Dio attraverso i propri gesti di tenerezza: è questo l’utilizzo che Papa Francesco fa dei canali social. Noi cerchiamo di trasmettere in rete messaggi di speranza, misericordia e tenerezza con l’auspicio che le persone possano percepire questo Dio che ci ama, che ci assiste e che ci benedice anche attraverso i mezzi digitali. Il dispositivo non è un oggetto che sta al di fuori di noi, ma è parte integrante della nostra realtà ed entra negli ambiti e nelle situazioni che viviamo giornalmente. La digitalità non è uno strumento da utilizzare ma uno spazio da abitare! Se è vero e buono che usiamo le reti digitali per tenerci aggiornati su temi politici, economici, sportivi o per controllare la nostra agenda o per condividere mille cose, allora cerchiamo di utilizzarle pure per il cuore, per l’anima, con l’intento di trovare, anche attraverso questo mezzo, segnali di speranza, di compagnia e di tenerezza.  Quanto abbiamo dimenticato il valore di azioni semplici come una carezza, un bacio, un abbraccio, prendersi per mano, una benedizione… Non esiste essere umano che non abbia bisogno di questi gesti nella vita quotidiana.  Una carezza non è solo un gesto importante dal punto di vista del sentimento, ma anche dal punto di vista biologico (pensiamo al sistema neuroendocrino) ma anche sul piano teologico. Secondo Papa Francesco, la tenerezza è la manifestazione della Misericordia di Dio! Dobbiamo imparare a fare del bene anche attraverso questi semplici gesti e mezzi, sia alle persone a noi vicine e care sia agli sconosciuti, specialmente ai dimenticati e scartati della società. Ci manca a volte il coraggio di essere pienamente umani.

 
Papa Francesco, si suol dire, è “un rivoluzionario”. Che non ha timore di testimoniare il Vangelo anche in temi oggi difficili come quello dell’immigrazione. Il Papa parla da cristiano, la sua voce ricorda a tutti i valori del cristianesimo. La difesa dei migranti da parte di Papa Francesco ha avuto qualche ripercussione sulla sua sintonia con l’opinione pubblica? E, più, in generale, quanto è difficile gestire la comunicazione di un Papa così coraggioso?
La sfida di gestire la comunicazione di un Papa così coraggioso non è dettata soltanto dagli argomenti trattati, ma soprattutto dalla sintonia con lui e dal saper rimanere nella sua stessa frequenza. Lui è il Papa della compassione, ha costantemente la percezione dell’uomo che soffre, e noi dobbiamo cercare di essere l’estensione delle sue labbra, delle sue gambe, delle sue braccia per benedire, accarezzare ed aiutare l’uomo contemporaneo nella sua ricerca di Dio e di umanità. Se non capiamo realmente questa necessità di compatire e capire l’altro, allora di conseguenza non potremo mai capire e comunicare i suoi messaggi, non potremo mai essere quella realtà per la quale siamo stati creati. Non è solo una questione del migrante o del povero, il Papa è vicino alla persona che soffre, a tutta la sofferenza della persona, per ciò il suo permanente invito ad essere una “Chiesa in uscita”, verso tutte le “periferie esistenziali”! La difficoltà, quindi, è proprio questa: vibrare nella sua frequenza. La comunicazione si fa vera quando si capisce il messaggio che vuole tramandare e si entra in connessione con le sue parole. Dio è venuto da noi per essere vicino a noi e il linguaggio del Santo Padre è portare questo amore a tutti gli uomini. Tutto ciò rappresenta un cammino complesso, pieno di sfide, non si tratta di frasi fatte o di equazioni matematiche. Tutti soffriamo, in momenti diversi e in maniera diversa e questi messaggi servono ad aprire gli occhi e il cuore della persona che soffre ed ad esserle vicina. Quando il Papa parla di tenerezza non intende debolezza o comportamento sdolcinato, la tenerezza è l’amore che si fa vicino, concreto ed operativo verso chi ha bisogno. Occorre acquisire l’umiltà di abbassarsi ed entrare in questo linguaggio, così come un papà si avvicina e dialoga con il proprio bambino, capendone il suo linguaggio ed entrando in connessione con le sue esigenze. Solo chi è forte, solido, capace ed intelligente prova tenerezza, chi ama davvero può capire questo messaggio.

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