Webuild, la rappresentante dei piccoli azionisti di risparmio si dimette: "La società ostacola il mio mandato"

- di: Redazione
 
Nella foto, Pietro Salini, Amministratore Delegato di Webuild

Quando si parla di assemblea si pensa ad un luogo dove si possa parlare, discutere, proporre, contestare, ben sapendo che si tratta della massima espressione della libertà di parola. Soprattutto se si parla a nome di chi, tradizionalmente, non ha molta voce. Se poi chi sta nella cabina di comando sembra fare di tutto per rendere questa voce ancora più flebile, quando addirittura non cerca di silenziarla, strozzandola, ecco che l'omicidio perfetto - quello della democrazia - viene compiuto.
A chi vorrebbe dire e si vede zittito non restano molte armi. Come le dimissioni, che non sono una presa d'atto dell'impossibilità di onorare il proprio ruolo, quasi una ammissione di sconfitta, ma il modo per dire a tutti quel che sta accadendo e il perché non lo si accetta, pur subendolo.
È forse questa considerazione che ha spinto Stella d'Atri, rappresentante degli azionisti di risparmio, a fare un gesto per certi versi clamoroso, presentandosi dimissionaria all'assemblea speciale di Webuild, convocata per il 30 settembre e nel cui ordine del giorno figura la ratifica della decisione.

Webuild, la rappresentante dei piccoli azionisti di risparmio si dimette: "La società ostacola il mio mandato"

Ora, come da tradizione, ci potrebbero essere mille e una spiegazione ad un gesto del genere, alla decisione dolorosa di privare i piccoli azionisti del solo strumento che hanno per dire la loro, magari per dirsi non d'accordo se non condividono la linea del board. Ma, nel caso di Webuild, almeno a leggere la puntigliosa lettera inviata da Stella d'Atri agli azionisti, non si tratta di una mossa a sorpresa, dettata magari dall'arrabbiatura del momento.

Perché, al contrario, è l'inevitabile conseguenza della linea che, a detta di d'Atri, è stata scelta da Webuild: frapporre tutti gli ostacoli che lecitamente può mettere in essere pur di eliminare un anche solo ipotetico dissenso sulla governance della società. Che, vorremmo sommessamente ricordare, è una società un "po' più" di altre, avendo un portafoglio di commesse a tantissimi zeri e che dentro il governo vanta molti, qualificati e influenti estimatori.

Ma la stima vale poco se poi, come dice Stella d'Atri, certi prerogative non vengono riconosciute o si cerca di disinnescarne l'eventuale critica, attuando contro esse delle tattiche ostruzionistiche.
Stella d'Atri, sul suo ruolo in seno alla compagine degli azionisti di Webuild, ha idee ben chiare. Come si capisce da una recente intervista, in cui, premesso che Webuild "è una società quotata sul mercato finanziario (oltre due miliardi di valore di borsa) e le sue attività sono necessariamente pubbliche", puntualizza che "i soci, pur non essendo responsabili della gestione, hanno l'obbligo sociale di verificare l'andamento aziendale, di valutarlo e fornire al management indicazione, apprezzando o disapprovando il suo comportamento".

Una funzione che, oggi, d'Atri denuncia non venga riconosciuto ai soci e, nel caso specifico, a chi li rappresenta. Stella d'Atri non si limita a puntare il dito, ma fa quelle che sono vere e proprie accuse, dicendo che le dimissioni si sono rese necessarie "alla luce dell'approccio non collaborativo e in alcuni casi ostruzionistico da parte della società".
Come si materializza, a suo dire, questo atteggiamento?
Dai vertici di Webuild si palesa, sostiene d'Atri, un atteggiamento che "mira a limitare il mio diritto di parola, critica e cronaca sui temi societari, il ruolo informativo verso la categoria, il ruolo di rappresentanza della volontà della stessa, anche e soprattutto, nei confronti della società e le prerogative funzionali associate alla carica dalla legge". Quindi, una sorta di bavaglio regolamentare che le sarebbe stato imposto per impedire a lei e ai piccoli soci di esprimere le loro idee, prima ancora che le manifestino apertamente.

Se al fine generale (soffocare in culla le possibili voci dissenzienti) si fa seguire il particolare, ovvero l'attacco a chi coltiva un pensiero diverso, il quadro è completo, diremmo desolatamente chiarificatore.
D'Atri ha scritto di "considerazioni lesive della propria professionalità e comunque non compatibili con la corretta gestione dei rapporti fra società e categoria", parlando poi di "scorrettezza formale, ai limiti della denigrazione e illazione, nelle comunicazioni, le difficolta' frapposte nella gestione di semplici adempimenti e in generale un approccio 'non collaborativo' (fra organi statutari) fino al punto di rifiutare la disponibilità della sede sociale per lo svolgimento dell'assemblea, rendono impossibile lo svolgimento dell'attività professionale nei limiti del mandato ricevuto".
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