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Von der Leyen: pace “giusta” e garanzie forti per l’Ucraina

- di: Bruno Coletta
 
Von der Leyen: pace “giusta” e garanzie forti per l’Ucraina
Von der Leyen: pace “giusta” e garanzie forti per l’Ucraina

La presidente della Commissione Ue mette i paletti: niente accordi fragili che preparano la prossima guerra. E sull’Europa: “non abbiamo il lusso del tempo”. 

(Foto: Ursula von der Leyen).

Una pace che non sia una parentesi. Un accordo che non assomigli a una tregua con la miccia già accesa. È con questo tono — netto, quasi “ingegneristico” — che Ursula von der Leyen torna a fissare la linea europea sul dossier ucraino: “pace giusta e duratura”, sì, ma soltanto se sostenuta da garanzie di sicurezza solide. Il punto, tradotto: firmare non basta. Bisogna blindare il dopo.

Il messaggio: la pace non deve fabbricare il prossimo conflitto

Nelle ultime ore la presidente della Commissione europea ha insistito su un concetto che a Bruxelles circola da mesi, ma che ora viene ribadito con più urgenza: un’intesa “debole” rischia di diventare il prologo del round successivo. Non è solo un avvertimento diplomatico: è anche un modo per dire ai partner (e agli intermediari) che l’Europa non intende timbrare compromessi “a saldo” pur di chiudere in fretta.

Von der Leyen lega le due parole chiave — pace e sicurezza — come se fossero un unico oggetto: senza garanzie credibili, la pace è instabile. E l’instabilità, nel contesto ucraino, non è un’ipotesi teorica: riguarda confini, deterrenza, capacità militare, tempi di reazione e — soprattutto — la volontà politica di far rispettare gli impegni.

Territori: “decidono gli ucraini”, non i tavoli altrui

Altro paletto: il capitolo territoriale. Von der Leyen ribadisce che la titolarità delle scelte su terre e confini non può essere esternalizzata. In altre parole, la scelta spetta al presidente Volodymyr Zelensky e al popolo ucraino. È una formula che serve a due scopi: proteggere Kyiv da pressioni “di contorno” e ricordare che la legittimità dell’accordo passa dalla parte direttamente aggredita.

È qui che il dibattito si fa più tagliente, perché i negoziati ruotano proprio attorno alla combinazione più esplosiva: territorio in cambio di sicurezza. Il problema, sottolineato da più parti in queste ore, è che la sicurezza non può essere promessa con frasi generiche: deve essere misurabile, verificabile, applicabile.

Garanzie “robuste”: cosa significa davvero

Quando a Bruxelles si dice “garanzie robuste”, la domanda è sempre la stessa: robuste come? Le ipotesi sul tavolo, per quanto variabili, tendono a concentrarsi su alcuni pilastri:

  • Deterrenza: strumenti capaci di dissuadere un nuovo attacco, non solo di “punirlo” dopo.
  • Sostegno militare continuativo: forniture, addestramento, interoperabilità, pianificazione.
  • Copertura politica e giuridica: impegni non reversibili con un cambio di vento interno.
  • Capacità industriale: produzione e scorte europee, perché le promesse senza munizioni sono retorica.

La questione non è accademica: negli stessi giorni, Zelensky ha ricordato pubblicamente quanto pesi l’esperienza di garanzie percepite come insufficienti in passato, e quanto sia decisivo evitare “buchi” che permettano a Mosca di testare la tenuta dell’accordo.

“Non abbiamo il lusso del tempo”: la fretta europea sulla difesa

La frase più politica, però, riguarda l’Europa stessa. Alla domanda su quanto tempo serva perché l’Unione sia davvero in grado di difendersi con più autonomia, von der Leyen risponde in modo secco: “non abbiamo il lusso del tempo”. Tradotto: l’Unione sente che l’orologio strategico corre più veloce di quanto corrano i processi decisionali.

È una frase che si incastra con un altro pezzo del puzzle: il denaro e gli strumenti per trasformarlo in capacità. In queste ore si discute anche di come aumentare la potenza finanziaria europea per i progetti di difesa, con ipotesi di ampliamento di schemi di prestiti comuni e meccanismi pensati per sostenere investimenti a lungo termine. La logica è chiara: se la minaccia è prolungata, servono soluzioni strutturali, non cerotti annuali.

Il contesto: negoziati più intensi e pressioni incrociate

Il messaggio di von der Leyen arriva mentre il livello di attività diplomatica aumenta. Da un lato, Washington spinge per arrivare a una cornice di accordo in tempi rapidi; dall’altro Kyiv insiste che qualsiasi accelerazione deve andare di pari passo con garanzie “vincolanti” e credibili. In parallelo, nei Paesi europei cresce la consapevolezza che la sicurezza ucraina e la sicurezza europea sono collegate: se l’Ucraina resta esposta, l’instabilità si sposta verso ovest.

In questo clima, la linea che emerge è una: meglio un accordo difficile ma sostenibile che una firma veloce destinata a scricchiolare alla prima crisi. È la differenza tra “chiudere” e “risolvere”.

Che cosa cambia adesso

Il punto di caduta, per Bruxelles, sembra essere questo: nessun accordo può reggersi su promesse vaghe. Von der Leyen chiede un’intesa capace di impedire la ripetizione del copione: tregua, riarmo, nuova offensiva. E nel frattempo accelera il discorso parallelo: rendere l’Europa più rapida, più attrezzata, più credibile.

È una partita a due livelli: pace per Kyiv e muscoli per l’Europa. E, a giudicare dal tono, questa volta Bruxelles non vuole lasciare spazio a interpretazioni creative. 

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