Che la giornata contro la violenza sulle donne non sia il solito rito
- di: Diego Minuti
La giornata contro la violenza sulle donne è una di quelle ricorrenze che non dovrebbero esistere, perché certificano non l'esistenza di un problema, ma la quasi consapevolezza che esso sia irrisolvibile. Nelle ore in cui su tutti i media ci sono articoli, servizi, fotografie, analisi, prese di posizione e auspici, altre due donne sono state uccise da una persona che forse era a loro più vicina, per una il marito, per l'altra il compagno/amante.
Due omicidi (o, secondo la recente classificazione, due femminicidi) che almeno in un caso potevano essere evitati perché la vittima - una donna marocchina di trent'anni, madre di tre figli ed in attesa del quarto, uccisa a coltellate nel padovano - aveva denunciato le violenze che subiva, ma si era sempre fermata un attimo prima che venisse avviata l'inchiesta giudiziaria. E forse non si saprà mai se il suo passo indietro era motivato dalla paura di quello che le poteva ancora accadere o dalla speranza che il marito cambiasse.
Alla fine Aycha el Abiou ha perso la sua scommessa ed il marito, Jennati Abdelfetth, l'ha uccisa accoltellandola, ammazzando anche il bimbo che lei portava in grembo.
Una tragedia che forse si poteva evitare e che quindi ripropone la questione della mancanza della cultura della denuncia, anche se spesso, dietro di esse, c'è la paura per sé e magari anche per altri, come i figli.
L'assassino di Aycha ha confessato d'avere ucciso per gelosia, al momento non si sa se fondata e su cosa, ma, come troppo spesso accade nei femminicidi, è un sentimento che divora e che porta alla violenza, senza che questo possa trovare una giustificazione degna di tale nome.
Per Rosanna Scalone, 52 anni, la relazione con un uomo più giovane (Sergio Giana, 36, sposato) era forse la nuova opportunità che cercava dopo la fine del suo matrimonio. Ieri il corpo di Rosanna è stato trovato sugli scogli di Copanello, la località turistica tra Catanzaro e Soverato. Su di esso un primo esame ha contato 15 coltellate che - si aspetta in proposito l'autopsia - potrebbero essere state in gran parte inflitte post mortem, anzi a distanza di molte ore. Cosa che, se confermata, alzerebbe ulteriormente l'orrore per un omicidio di cui si stenta a comprendere le motivazioni.
Ma, quali che esse siano, nel caso di Rosanna come di Aycha, il Paese è costretto, per l'ennesima volta, ad iscrivere un nome al femminile come vittima di un atto di violenza. Forse bisognerebbe essere consapevoli dell'esatta dinamica di episodi dolorosi come quelli ai quali assistiamo quotidianamente e quindi adoperarci tutti affinché non accadano più. Non parlo solo della cultura del rispetto (verso l'uomo, la donna, ogni essere umano), ma della tutela del più debole. Che spesso veste i panni di una donna che, relegata al ruolo di vittima predestinata, manca della forza per ribellarsi.
C'è chi ci è riuscita, facendo trovare al marito le sue valigie sull'uscio di casa e cambiando al serratura; altre non hanno trovato il coraggio non per mancanza di volontà, ma perché sovrastate da una situazione che ritenevano, forse erroneamente, senza alternative.
È a queste donne che ci dovremmo rivolgere per ricordare loro che basta pigiare dei tasti del telefono per fare scattare un "Codice rosso", dal nome della legge che, dal 2019, tutela le donne vittime di violenza. Pochi numeri, per tornare a riappropriarsi della propria vita, ricordandosi che le promesse per definizione spesso vengono dimenticate, a furia di pugni, schiaffi o, come nel caso di Rosanna e Aycha, a colpi di coltello.