Stati Uniti, cresce la tensione interna: studenti, piazze e due Americhe a confronto
- di: Jole Rosati

Sanders e Ocasio-Cortez guidano il tour “anti-oligarchia” anche nei feudi repubblicani. Le università alzano la testa. L’America si prepara allo scontro. Alain Friedman: uno scontro durissimo e inevitabile.
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Un’ondata di protesta attraversa l’America
Dall’Ohio alla California, dal Texas al Vermont, un’onda di protesta senza precedenti scuote il tessuto politico e culturale degli Stati Uniti. A mobilitare decine di migliaia di studenti, insegnanti, sindacati, attivisti per i diritti civili e semplici cittadini è una sensazione diffusa di emergenza democratica: l’America si sta spezzando in due.
“Non è solo una questione di sinistra o destra. È una questione di libertà”, ha dichiarato Bernie Sanders durante una manifestazione il 4 maggio a Salt Lake City, Utah, di fronte a oltre 20.000 persone. “Stanno cercando di soffocare il dissenso, di umiliare le università, di cancellare i diritti sociali uno per uno”.
Al suo fianco Alexandria Ocasio-Cortez incalza: “La battaglia è ovunque, anche nel cuore dell’America conservatrice. E non abbiamo paura di combatterla”.
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Il tour “Fighting Oligarchy”: pienoni anche negli Stati trumpiani
Il tour lanciato da Sanders e Ocasio-Cortez si chiama “Fighting Oligarchy”, e ha già toccato Denver, Phoenix, Nashville, Salt Lake City, Louisville e Indianapolis. L’obiettivo è chiaro: denunciare quella che definiscono la “svolta autoritaria” dell’America trumpiana, che colpisce università, minoranze, media e poteri indipendenti.
In ogni tappa del tour, migliaia di cittadini affollano auditorium e piazze, spesso in territori considerati roccaforti repubblicane. “Non siamo soli. Anche qui, tra i conservatori, c’è chi non vuole più un governo che governa con minacce e diktat”, ha detto AOC a Nashville.
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La miccia: Harvard sotto accusa, fondi bloccati dal governo
Il 5 maggio, la ministra dell’Istruzione Linda McMahon — ex dirigente WWE e fedelissima trumpiana — ha ufficialmente comunicato alla direzione di Harvard l’esclusione dell’ateneo da ogni forma di finanziamento federale. Il motivo dichiarato: “tolleranza verso l’odio anti-israeliano e fallimento nella difesa della libertà di espressione per tutti gli studenti”.
Ma per la comunità accademica americana si tratta solo dell’ultimo atto di una strategia repressiva. “È un’operazione punitiva, vendicativa e profondamente antiamericana”, ha denunciato il presidente di Harvard, Alan Garber, annunciando una causa contro il governo per violazione della Costituzione.
La notizia ha scatenato la rabbia degli studenti: sit-in, cortei e occupazioni si sono moltiplicati da Cambridge a Los Angeles. E ora le proteste si saldano con il tour politico di Sanders e AOC, creando un fronte comune. Per questo sabato gli studenti di Harvard hanno organizzato una grande manifestazione di carattere nazionale per la libertà di insegnamento e cultura, contro il bigottismo e l’autoritarismo del movimento MAGA.
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Campus in rivolta: Columbia, Stanford, Berkeley, Yale
“Non accettiamo ricatti. E non smetteremo di protestare”. A parlare è Sofia Patel, portavoce del coordinamento degli studenti di Stanford, dove oltre 4.000 giovani hanno marciato per la libertà accademica il 3 maggio. A Columbia, la polizia è intervenuta per sgomberare un sit-in pacifico, generando accuse di brutalità e censure.
A Yale e Berkeley i docenti hanno firmato appelli pubblici per la difesa dell'autonomia universitaria e per il ritiro immediato delle minacce federali. "Questo governo sta cercando di riscrivere le regole del sapere", ha scritto su The Atlantic la filosofa Martha Nussbaum, parlando di “svolta pericolosa verso l'autoritarismo”.
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L’America profonda non sta a guardare
Non è solo l’“America delle università” a reagire. In stati come Michigan, Arizona, North Carolina e Georgia, gruppi civici, associazioni religiose e sindacati hanno cominciato a organizzare mobilitazioni parallele, denunciando l'erosione delle libertà costituzionali.
Il 30 aprile, a Chattanooga, Tennessee, una coalizione interreligiosa ha sfilato per la libertà di parola e di educazione. Il pastore luterano Michael Jensen ha detto dal palco: “Quando lo Stato decide cosa si può insegnare e cosa no, siamo già a un passo dalla tirannia”.
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Friedman: “Uno scontro durissimo era inevitabile”
Lo aveva previsto con chiarezza Alan Friedman, già nel 2016, quando Trump si avviava alla Casa Bianca: “Gli Stati Uniti sono diretti verso una collisione violenta tra due visioni inconciliabili del Paese”, scriveva in Questa non è l’America. Oggi, le sue parole risuonano con forza.
Intervistato il 5 maggio da MSNBC, Friedman ha rincarato: “Non è solo una battaglia politica, è una lotta per l’anima dell’America. E sarà durissima. La repressione delle università è solo l’inizio”.
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Un’America spaccata, un conflitto che cresce
La repressione del dissenso, la censura delle università, la marginalizzazione delle minoranze e degli intellettuali: sono questi i temi su cui si sta coagulando l’opposizione. Il tour di Sanders e Ocasio-Cortez ne è la punta di diamante, ma la base si allarga di giorno in giorno.
L’America che non si riconosce nei comizi reazionari e nei pick-up cromati della base trumpiana sta rialzando la testa. Lo scontro è aperto, e sarà senza sconti.