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Accordo sui dazi Ue-Usa: la partita si gioca al 15%

- di: Matteo Borrelli
 
Accordo sui dazi Ue-Usa: la partita si gioca al 15%

Von der Leyen vola in Scozia per il faccia a faccia con Trump. Tregua possibile, ma l’ex tycoon frena: “Accordo solo al 50%”. Settori chiave in bilico, da automotive a farmaci. Il 15% potrebbe diventare la nuova soglia doganale transatlantica. Il nodo dei dazi tra Europa e Usa si stringe attorno a un numero: 15%.

C’è un numero, il 15%, che potrebbe scrivere la tregua tra l’Europa e l’America trumpiana sul fronte dei dazi. Dopo mesi di tensioni, ritorsioni minacciate e spiragli di dialogo, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha confermato che domenica 28 luglio incontrerà Donald Trump a Turnberry, in Scozia, nel primo bilaterale ufficiale da quando il tycoon ha ripreso possesso della Casa Bianca.

Un luogo scelto non a caso: il resort scozzese è proprietà dello stesso Trump, ma il terreno è neutro abbastanza da evitare l’umiliazione diplomatica di uno sbarco nello Studio Ovale.

Il faccia a faccia potrebbe essere decisivo. Almeno per una “pace provvisoria” nel lunghissimo braccio di ferro commerciale che ha riportato i rapporti transatlantici indietro di due decenni.

Il preaccordo in cassaforte a Bruxelles

La bozza dell’accordo è già arrivata negli uffici della Commissione al tredicesimo piano del Palais Berlaymont, dove von der Leyen l’ha esaminata al rientro dalla sua missione in Cina. Il cuore dell’intesa ruoterebbe attorno a una nuova soglia tariffaria “di base” del 15% per gran parte dei beni europei esportati verso gli Stati Uniti.

Una percentuale considerata “accettabile” dalle principali cancellerie Ue – in particolare da Berlino e Parigi – purché includa l’attuale 4,8% previsto dalla clausola della “nazione più favorita”, uno dei pilastri dell’architettura OMC.

Trump gioca al rilancio: “Accordo? Solo al 50%”

Ma il quadro resta instabile. Trump, parlando con i giornalisti alla base aerea di Andrews prima della partenza per la Scozia, ha ridimensionato gli entusiasmi: “Sull’intesa siamo al 50%. Su acciaio e alluminio non c’è margine”, ha dichiarato.

In pratica: su quei due settori chiave i dazi statunitensi resteranno al 50%. Punto. Ma sul resto, dal legname ai prodotti agroalimentari, dagli alcolici ai dispositivi medici, le trattative avanzano. I farmaci restano però il dossier più critico, con differenze normative e di autorizzazione che rendono ardua una soluzione rapida.

Il pressing delle industrie europee

Nel frattempo, i grandi gruppi industriali europei osservano con attenzione. Il settore automobilistico in particolare chiede da tempo il ritorno a una soglia “normale” del 15% sulle esportazioni verso gli Usa, dopo che l’amministrazione Trump aveva imposto dazi punitivi fino al 27,5%.

Volkswagen ha già lanciato un allarme pubblico, mentre i costruttori francesi e italiani attendono segnali, consci che anche una tregua temporanea aiuterebbe le filiere in affanno.

“Un accordo che riporti le tariffe al 15% significherebbe per noi respirare – ha dichiarato in forma anonima un dirigente Stellantis – ma finché l’inquilino della Casa Bianca resta questo, nulla è mai davvero certo”.

Due fasi per un’intesa delicatissima

Il vertice di Turnberry sarà organizzato in due tempi: una prima fase tecnica, con la presenza degli “sherpa” e del commissario europeo al Commercio Maroš Šefčovič, e una seconda ristretta, con il solo faccia a faccia tra von der Leyen e Trump.

Ed è proprio durante l’incontro a due che la presidente Ue intende ribadire alcuni principi non negoziabili: la centralità del libero scambio, l’equità del trattamento reciproco e l’affidabilità delle relazioni transatlantiche.

Tradotto: l’Ue vuole regole, non imposizioni unilaterali. Un messaggio che a Trump – noto per il suo approccio “America First” – potrebbe suonare come una provocazione.

La valigia dell’Europa è piena di ritorsioni

Nel cassetto di Bruxelles resta intanto il “listone” delle contromisure: una serie di dazi europei pronti a scattare dal 7 agosto in risposta alle tariffe Usa su acciaio e alluminio. Se l’intesa non verrà formalizzata in tempo utile, scatterà la ritorsione.

E i settori colpiti saranno scelti con chirurgica attenzione politica: whiskey, motociclette, jeans americani, prodotti agricoli. Un déjà-vu che riporterebbe l’Europa e l’America a un clima da guerra commerciale permanente.

“Non possiamo permetterci un’altra stagione di ostilità economica” – ha dichiarato il vicepresidente esecutivo della Commissione, Valdis Dombrovskis“Serve un compromesso realistico, ma serve subito”.

Il Canada nel mirino, la Cina sullo sfondo

Mentre tratta con l’Ue, Trump riaccende lo scontro anche con Ottawa. “Con il Canada potremmo non trovare un’intesa”, ha detto prima di imbarcarsi per la Scozia. Una mossa che dimostra quanto la Casa Bianca stia usando i dazi non solo come strumento economico ma come leva geopolitica: premere su alcuni per spaventare tutti. E intanto, Pechino osserva.

L’assenza della Cina dall’accordo Ue-Usa non è un dettaglio. Von der Leyen è tornata da Pechino appena una settimana fa, dopo un colloquio difficile con Xi Jinping. In quell’occasione, Pechino ha criticato apertamente l’uso delle tariffe da parte americana come “arma politica”, offrendo invece all’Europa nuove aperture commerciali nel settore green e tech.

Ultima chiamata per la fiducia transatlantica

Il bilaterale di domenica a Turnberry sarà molto più che un esercizio tecnico. È un banco di prova per l’affidabilità dell’America di Trump. Se l’accordo arriverà, sarà un successo fragile ma necessario. Se salterà, l’Europa dovrà decidere se reagire, se aspettare o se – come suggerisce qualcuno a Berlino – riaprire il dossier con la Cina. Con tutti i rischi strategici che ciò comporta.

“Non è un gioco a somma zero”, ha ammonito l’ex premier italiano Enrico Letta. “Ma l’Europa deve smettere di fare la parte del vaso di coccio”. A Turnberry si capirà se questa consapevolezza è finalmente arrivata anche a Bruxelles.

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