L’Unione Europea ha formalmente approvato un piano per rafforzare la propria capacità di difesa, ma l’entusiasmo iniziale si scontra con la dura realtà delle divisioni interne. Il Consiglio europeo ha adottato le conclusioni sulla strategia di riarmo e sulla gestione dei flussi migratori, due dossier che si intrecciano in un momento di grandi tensioni geopolitiche e crisi economiche.
L’UE approva il riarmo, ma il piano è in salita: divisioni sui finanziamenti e nodo migranti
Se da un lato l’accordo sulla necessità di potenziare l’industria militare europea rappresenta un passo avanti, dall’altro il vero problema rimane la questione dei finanziamenti. I Ventisette si presentano profondamente divisi su come reperire le risorse necessarie per dare concretezza al piano, e il rischio di un’impasse è più che concreto.
Le divergenze sono tali che la discussione è stata rimandata ai vertici di giugno, dove i leader dovranno affrontare il nodo più spinoso: chi pagherà e come?
Dalla teoria alla pratica: la sfida dei finanziamenti
A Bruxelles, il messaggio ufficiale è chiaro: l’Europa deve smettere di dipendere dagli Stati Uniti per la propria sicurezza e rafforzare la propria autonomia strategica. Tuttavia, il consenso politico non basta. Il dibattito sulle modalità di finanziamento mette in luce le profonde differenze tra i governi nazionali:
Francia e Italia spingono per un grande piano di investimenti comuni, che preveda l’uso di fondi europei per incentivare l’industria della difesa e stimolare la crescita del comparto bellico.
Germania e Paesi Bassi, invece, restano cauti e insistono sulla necessità di mantenere un rigore fiscale, escludendo la possibilità di nuovi debiti europei destinati al riarmo.
I paesi dell’Est Europa, più vicini al conflitto in Ucraina, chiedono misure rapide e finanziamenti diretti per l’acquisto di armi e munizioni, mentre alcuni governi del Nord temono che un’eccessiva corsa agli armamenti possa minare la tradizionale identità pacifista dell’UE.
Tra le ipotesi sul tavolo c’è l’emissione di obbligazioni europee per la difesa, un meccanismo simile a quello adottato per il Recovery Fund post-pandemia. Ma il tema resta altamente divisivo, con alcuni governi restii a creare nuovo debito comune.
Altri suggeriscono di attingere direttamente al bilancio europeo, destinando una parte delle risorse comunitarie alla difesa. Questa soluzione, però, rischia di sottrarre fondi ad altri settori strategici come la transizione ecologica e il digitale, generando ulteriori attriti tra i Ventisette.
Infine, c’è chi propone di coinvolgere la NATO per evitare di dover sostenere l’intero peso del riarmo con risorse proprie, ma anche qui si aprono scenari controversi: l’UE vuole davvero rafforzarsi in modo autonomo o continuerà a dipendere dall’ombrello atlantico?
Migranti: una soluzione a metà
Se il tema della difesa è destinato a restare al centro del dibattito nei prossimi mesi, la questione migratoria non è da meno. Anche qui, il vertice ha portato a un compromesso che lascia molti interrogativi aperti.
L’accordo raggiunto prevede un rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne, con un maggiore coinvolgimento dell’Agenzia Frontex e nuove intese con i paesi di origine e transito dei migranti. Tuttavia, il tema della redistribuzione delle persone che arrivano sulle coste europee resta una questione irrisolta.
I paesi del Sud Europa, come Italia, Grecia e Spagna, continuano a chiedere una maggiore solidarietà da parte degli altri stati membri, ma i governi dell’Est e del Nord Europa rimangono rigidi sulle loro posizioni, rifiutandosi di accogliere quote obbligatorie di migranti.
Di conseguenza, il nuovo piano si concentra più sulla deterrenza che sull’accoglienza, puntando su accordi con paesi terzi, come Tunisia e Libia, per bloccare le partenze e rendere più efficiente il rimpatrio di chi non ha diritto alla protezione internazionale.
Ma è davvero una soluzione sostenibile? Gli esperti avvertono che senza un meccanismo di gestione condiviso, l’UE continuerà a gestire il fenomeno migratorio in modo emergenziale, senza una strategia strutturata a lungo termine.
Aspettando giugno: l’UE alla prova dei fatti
Il vero test per l’Europa arriverà a giugno, quando i leader torneranno a riunirsi per discutere le modalità di finanziamento del riarmo e per cercare di superare gli ostacoli che hanno rallentato finora l’integrazione della difesa comune.
Nel frattempo, restano sul tavolo le domande fondamentali:
L’UE sarà in grado di superare le sue divisioni interne e trasformare le ambizioni strategiche in un piano concreto?
Gli Stati membri troveranno un accordo su un meccanismo di finanziamento condiviso o prevarrà la logica del “ciascuno per sé”?
La politica migratoria riuscirà a bilanciare sicurezza e solidarietà o continuerà a oscillare tra chiusure e compromessi temporanei?
Quello che è certo è che l’Unione Europea sta cercando di ritagliarsi un ruolo più incisivo sullo scenario internazionale, ma per farlo dovrà superare le proprie fragilità. E il tempo stringe.