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Pechino si candida per l’Ucraina: cosa vuole davvero la Cina dai caschi blu dell’ONU. E Trump senza UE si scopre solo

- di: Bruno Coletta
 
Pechino si candida per l’Ucraina: cosa vuole davvero la Cina dai caschi blu dell’ONU. E Trump senza UE si scopre solo
(Foto: il presidente cinese Xi Jinping)

Un’offerta (interessata) di pace
La notizia che la Cina abbia espresso l’intenzione di partecipare a una missione di peacekeeping in Ucraina, sotto l’egida dell’ONU e nell’ambito dell’iniziativa promossa da Keir Starmer con la formula “coalizione dei volenterosi”, è tutt’altro che secondaria. Si tratta di un potenziale spartiacque politico e diplomatico, capace di ridisegnare gli equilibri internazionali. Ma attenzione: dietro l’offerta cinese non c’è solo pacifismo. C’è strategia, e anche ambiguità.

Il gioco sottile di Pechino

La Cina ha una lunga tradizione nei caschi blu: è tra i principali contributori di forze e fondi alle missioni ONU. Ma stavolta il contesto è radicalmente diverso. Offrendo una propria presenza in Ucraina, Pechino mira a:
1. Riposizionarsi come potenza responsabile e globale, capace di promuovere stabilità laddove gli Stati Uniti oggi appaiono spostati su una linea bilaterale, più che multilaterale.
2. Prevenire un allineamento strutturale tra Mosca e Washington, che con Trump potrebbe diventare realtà.
3. Porsi come soggetto terzo per condizionare la pace e garantirsi uno spazio negoziale permanente sull’assetto della sicurezza europea.
In quest’ottica, l’offerta cinese va letta non solo come una proposta di stabilizzazione, ma come un atto di disturbo geopolitico. Un gesto volto a rompere la dicotomia tra Occidente e Russia, e a evitare che la partita ucraina si trasformi in una spartizione bilaterale a guida americana e russa, dalla quale Pechino sarebbe esclusa.

La manovra anti-Trump
Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, lo scenario globale è entrato in una nuova fase. Trump ha mostrato segnali di apertura verso la Russia, ventilando persino la possibilità di sospendere il sostegno militare a Kiev per forzare una trattativa. Da qui la preoccupazione strategica di Pechino: un eventuale asse Trump–Putin potrebbe marginalizzare la Cina, riducendola a spettatore in una partita in cui ha tutto da perdere.
Anche perché l’alleanza Mosca–Pechino, nata da una convergenza anti-occidentale, è tutt’altro che solida: la Russia non ha mai accettato di essere il “junior partner” del Dragone, e la Cina sa bene che un disgelo russo-americano la lascerebbe isolata. Ecco perché inviare caschi blu in Ucraina significa per Pechino mettere un piede sul terreno della mediazione, sottraendo spazio sia a Mosca che a Washington.

Come reagirà Mosca?
Ambivalente la risposta del Cremlino. Un coinvolgimento cinese nell’operazione ONU non sarebbe percepito come ostile, ma sarebbe tollerabile solo se utile a bilanciare l’Occidente, non a contenere l’influenza russa. Putin guarda alla Cina come leva strategica, ma non vuole Pechino in prima linea sul suolo ucraino. È un equilibrio fragile, fatto di fiducia condizionata e diffidenza reciproca.
Mosca potrebbe porre condizioni stringenti: nessuna truppa cinese nei territori occupati, nessuna ingerenza nei negoziati, nessun mandato interpretato in modo espansivo. Il Cremlino tollererà la presenza di Pechino solo se questa garantirà di non turbare l’equilibrio militare a suo favore.

L’Europa si divide
L’Unione europea si muove tra due impulsi: accettare Pechino per accelerare una fine del conflitto, oppure resistere a un’operazione che potrebbe legittimare la penetrazione cinese nel cuore geopolitico d’Europa.
Londra, promotrice dell’iniziativa, mantiene un atteggiamento pragmatico. Un funzionario britannico ha dichiarato al Guardian:Se la Cina rispetta le regole ONU e aiuta a stabilizzare l’Ucraina, perché no?”. Francia e Germania oscillano tra cautela e interesse, soprattutto se l’iniziativa garantisse una “exit strategy” diplomatica credibile. Polonia, Paesi baltici e Repubblica Ceca sono nettamente contrari: “Accogliere Pechino significa invitare il lupo a controllare l’ovile”, ha detto il ministro degli Esteri lituano.

Gli Stati Uniti: la nuova solitudine litigiosa di Trump potrebbe fare molto male agli interessi Usa. Tra diplomatici e Pentagono cresce l’inquietudine
Con Trump tornato alla Casa Bianca, il quadro cambia radicalmente. Il presidente americano ha riacceso le tensioni con l’Europa, imponendo dazi sui prodotti europei e alimentando un clima di rottura transatlantica. A ciò si aggiungono gli endorsement diretti o indiretti a figure della destra estremista europea da parte di Donald Trump e di Elon Musk.
Il risultato è che oggi gli Stati Uniti si trovano in una posizione ambigua: dominanti militarmente, ma più isolati politicamente. Il ritorno a una linea protezionista e unilaterale sta facendo emergere un paradosso: l’America trumpiana, pur puntando alla forza, non può permettersi di perdere l’Europa. Ma non può neppure pretendere che l’Europa resti fedele mentre viene economicamente punita.
Secondo l’Atlantic Council (rapporto di marzo 2025),gli Stati Uniti rischiano di perdere il loro principale moltiplicatore di potere: l’alleanza occidentale”. Anche il Pentagono si mostra inquieto. In ambienti militari si teme che lo strappo tra Washington e Bruxelles spinga diversi Paesi europei a considerare Pechino come partner alternativo su temi di sicurezza, energia e ricostruzione postbellica.
Un ex funzionario del Dipartimento di Stato, in forma anonima, ha dichiarato al New York Times: Trump vuole una pace con Putin, ma sta rischiando di lasciare alla Cina il ruolo del vero garante dell’equilibrio eurasiatico. Una follia strategica”.

Cina e Russia pronte a capitalizzare la frattura
Mosca e Pechino vedono le tensioni Trump–Europa come un’occasione storica. La Russia punta a minare la coesione dell’UE dall’interno, scommettendo sull’ascesa delle destre euroscettiche. La Cina, più sottile, si propone come partner commerciale “ragionevole” per l’Europa, in contrasto con un’America percepita come aggressiva e imprevedibile.
L’invio di caschi blu cinesi in Ucraina va letto anche in questa chiave: Pechino si presenta come potenza responsabile, proprio mentre Trump mina le strutture multilaterali su cui si basava l’ordine atlantico.

Due scenari per Washington
1. Correzione strategica: sotto pressione da Pentagono e diplomazia, Trump potrebbe essere costretto a riaprire canali con l’Europa, abbandonando l’isolazionismo. In questo caso, si avrebbe una tregua sui dazi, rilancio della NATO e apertura a una linea più multilaterale, anche se sempre condizionata.
2. Competizione aperta: Trump prosegue nella sua linea transazionale. L’Europa risponde rafforzando la propria autonomia strategica, mentre la Cina si inserisce come forza di stabilizzazione. Gli USA si ritrovano marginalizzati in un continente dove avevano dominio assoluto.
Secondo il Carnegie Endowment (marzo 2025): “Trump rischia di consegnare alla Cina il ruolo di garante della stabilità nel cuore dell’Eurasia. Una mossa che Kissinger avrebbe definito suicida”.

Pechino rompe il gioco a due
L’ingresso della Cina nella missione ONU in Ucraina è un’azione di disturbo geopolitico, diretta non solo contro la guerra, ma contro una nuova architettura del potere che potrebbe tagliarla fuori. Più che costruire la pace, Pechino vuole impedirne una troppo americana, troppo bilaterale, troppo esclusiva.
Il Dragone ha scelto di non restare a guardare. Ora spetta agli altri decidere se lasciarlo entrare nel salotto della diplomazia internazionale o chiudergli la porta. Con una consapevolezza: la Cina non bussa mai per caso.

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