Trump uscito dalla Casa Bianca entrerà nelle aule dei tribunali

- di: Diego Minuti
 
C'è un'immagine che, chi ha qualche anno sulle spalle, si porta dietro della sua giovinezza. Parlo di quando il proprietario del pallone a metà partita lo prendeva in mano e se ne andava a casa se gli veniva fischiata una punizione contro o se non gli si dava ragione in un'azione contestata. Il ricordo mi è venuto in testa cercando di capire se, oltre a quella ufficiale (il sospetto, al momento senza alcuna prova, che l'esito delle elezioni sia stato manipolato a favore di Biden), ci siano altre ragioni che spingano Donald Trump ha non riconoscere la vittoria del suo avversario.
La ferocia con cui si oppone a tutto, anche ai consigli dei suoi più stretti collaboratori (ad eccezione del suo pasdaran preferito, Rudolph Giuliani, sempre più caricatura di sé stesso), lascerebbe pensare proprio questo, che Trump, oltre alla legittima ambizione di ribaltare giudiziariamente il risultato degli scrutini, abbia altre motivazioni.

Una potrebbe essere la voglia di accreditarsi, ulteriormente, come il capo dei repubblicani che, nonostante la sconfitta, debbono riconoscergli d'avere rianimato un partito in crisi non tanto di consensi, quanto di credibilità. Ma c'è un'altra possibile motivazione legata a vicende personali che, con la presidenza e la politica, c'entrano poco. Come le varie cause intentate contro di lui e che riprenderebbero vigore nel momento in cui, lasciando la Casa Bianca, perderebbe l'immunità (mai codificata, ma assolutamente accettata da tutti per evitare che il comandante in capo abbia a subire condizionamenti esterni) che si lega alla presidenza degli Stati Uniti.

Trump non ama molto le aule di giustizia, come comprovato dal fatto che, quando viene coinvolto in processi o direttamente inquisito, cerca una soluzione extragiudiziale. Come è accaduto in procedimenti legati alla sua attività immobiliare, su cui sono stati mossi più che semplici sospetti. Ma, nel momento in cui dovesse uscire ufficialmente dal cono di tutela giudiziaria garantitogli dalla sua carica, per Trump potrebbe cominciare un periodo non bellissimo.

Cominciamo dall'indagine penale che, da più di due anni, il procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus Vance, sta conducendo su 'the Donald'' e la sua Trump Organization. L'indagine ha preso il via concentrandosi su alcuni pagamenti che sarebbero stati fatti in favore di due donne, che sostenevano di avere avuto relazioni sessuali con Trump (già spostato con l'attuale moglie, Melania) che ha sempre negato queste circostanze. I pagamenti sarebbero stati fatti, prima delle presidenziali del 2016, dall'ex avvocato personale ed ex braccio destro di Trump, Michael Cohen.

Ma i pagamenti, fatti presumibilmente per comprare il silenzio delle due donne (per una delle accusatrici Trump ha ritenuto di dovere spiegare, per difendersi, che non poteva averne abusato perché non era il suo tipo) sono stati solo l'inizio dell'indagine di Vance che di recente ha spiegato che l'inchiesta ha ampliato i suoi confini che oggi comprendono anche frodi bancarie, fiscali e assicurative, nonché sulla falsificazione di documenti aziendali. Ora il braccio di ferro tra procura e difesa di Trump riguarda la possibilità per la pubblica accusa di accedere alla contabilità fiscale di Trump e delle sue attività. Sino alla scorsa estate questi documenti erano coperti da un vincolo di riservatezza, caduto dopo che a luglio la Corte Suprema ha negato la possibilità di tenerli segreti, negando a Trump una protezione dalle indagini penali, ma consentendo al collegio di difesa del presidente di contrastare l'azione di Vance.

Tutte le perplessità sulla possibilità per un procuratore distrettuale di perseguire penalmente un presidente in carica e che sino ad oggi hanno ostacolato in parte l'azione di Vance cadranno nel momento in cui Trump lascerà la Casa Bianca. Un altro macigno giudiziario pronto a colpire Trump - e che si tradurrebbe nell'accusa di avere frodato il fisco - potrebbe essere conseguenza di una serie di articoli pubblicati dal New York Times che hanno rivelato che Trump, nel 2016 e nel 2017, ha pagato solo 750 dollari di imposte federali. A rendere complessa la situazione è la consuetudine , peraltro comune ai candidati alla presidenza americana, di non rendere note le dichiarazioni dei redditi.

Trump comunque ha detto che il suo operato è stato verificato dall'Agenzia delle Entrate, che non ha rilevato nulla di anormale. In ogni caso, almeno a detta di alcuni analisti finanziari, alla fine del suo mandato Trump dovrà rimborsare una serie di ingenti prestiti, cosa che potrebbe essere problematica, anche in considerazione della crisi generale determinata dalla pandemia in un settore, il turismo, su cui il tycoon poggia molte delle sue attività imprenditoriali.

Un'altra indagine in sede civile per frode viene portata avanti dal procuratore generale di New York, Letitia James, sulle attività della Trump organization, dopo che Michael Cohen, sempre lui, ha deposto davanti ad una commissione del Congresso rivelando che Trump ha gonfiato il valore delle sue partecipazioni per risparmiare denaro su prestiti e assicurazioni e lo ha poi abbassato per pagare meno tasse sulla proprietà. Manovra fiscale che Trump ha ammesso, limitatamente all'anno fiscale 2007.

Poi c'è il caso di E. Jean Carroll, ex giornalista della rivista Elle, che ha accusato Trump di averla aggredita sessualmente, a metà degli anni '90, in un camerino di un grande magazzino di Manhattan. La giornalista ha citato in giudizio Trump per diffamazione lo scorso anno, dopo che il presidente ha negato con decisione l'aggressione accusandola, poi, di avere mentito solo per aumentare le vendite di un suo libro in uscita.  Il processo per diffamazione va avanti e gli avvocati della giornalista potrebbero chiedere un campione di Dna di Trump per confrontarlo con dei reperti organici presenti sul vestito che E.Jean Carrol, secondo la sua querela, indossava nel momento dell'aggressione sessuale.
Per finire, Trump ed alcuni dei suoi figli maggiorenni sono sotto indagine, per effetto di una causa legale collettiva legata alle attività della American Communications Network, una azienda di marketing, che avrebbe elargito al presidente, per discorsi e partecipazioni ad eventi, quasi nove milioni di dollari.
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