È bastato un incontro a Riad, sotto i riflettori, per ridisegnare le geometrie del Medio Oriente. Ieri Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, ha stretto la mano ad Ahmed al-Sharaa – noto come Jolani – leader siriano e figura finora marginalizzata dalla comunità internazionale. Un gesto carico di significati. Una mossa destinata a dividere. Ma che segna, senza dubbio, un cambio di passo netto nella linea americana sullo scenario siriano.
Trump riapre la partita mediorientale: la Siria verso la normalizzazione, pressing sull’Iran
Accanto a lui, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. In collegamento video, Recep Tayyip Erdogan. Tutti riuniti per imprimere un’accelerazione a un processo che, fino a poche settimane fa, sembrava politicamente impensabile: il ritorno della Siria sulla scena internazionale. “È ora di voltare pagina”, ha detto Trump. “La Siria non può più essere trattata da paria”.
La stretta di mano che cambia gli equilibri
Il segnale è chiaro: la normalizzazione delle relazioni tra Washington e Damasco è iniziata. Non ancora formalmente, ma il primo passo è compiuto. Ed è un passo che chiama in causa anche l’Unione Europea e Israele. Perché se gli Usa tolgono le sanzioni – e Trump ha annunciato di volerle revocare in blocco – tutto il sistema di pressioni internazionali rischia di saltare.
“Un atto storico”, ha commentato Erdogan. “La fine delle ostilità è possibile solo se dialoghiamo anche con chi ha responsabilità”, ha rilanciato il presidente americano, lasciando intendere che questo passaggio rientra in una più ampia strategia diplomatica multilaterale. Una strategia che coinvolge, oltre alla Siria, anche l’Iran, Israele e il Qatar.
Da Doha un piano per Gaza
Ed è proprio a Doha che oggi Trump presenterà, in conferenza stampa congiunta con l’emiro Al-Thani, il piano per Gaza. L’architettura del progetto, che è stato definito nelle ultime ore tra Riad e Gerusalemme, prevede una tregua di 45 giorni, l’apertura condizionata dei valichi e una gestione umanitaria sotto controllo internazionale.
Non solo. Gli Stati Uniti sarebbero pronti a sostenere la ricostruzione di una parte delle infrastrutture civili nella Striscia, in cambio del disarmo progressivo dei miliziani di Hamas. Una proposta che – secondo quanto trapela – ha ricevuto l’avallo saudita e l’interesse del Cairo. Ma resta da capire se Tel Aviv vorrà partecipare. Netanyahu, interpellato ieri dalla stampa israeliana, ha glissato: “Ogni piano va valutato con attenzione”.
L’Iran nel mirino, ma senza rotture
Intanto, mentre Trump cerca di ricucire il fronte siriano, non si ferma il pressing sull’Iran. Il presidente ha confermato l’apertura di un canale riservato con Teheran per verificare la disponibilità a un nuovo accordo nucleare. Ma ha escluso, almeno per ora, qualsiasi alleggerimento delle sanzioni. “Serve un gesto concreto”, ha dichiarato. E ha ammonito: “Il tempo per la diplomazia non è infinito”.
La logica del dialogo, quindi, si accompagna a una cautela tattica. Nessuna concessione gratuita. Nessun cambio di linea rispetto alla sicurezza di Israele. Ma anche nessuna chiusura pregiudiziale. È questa la grammatica diplomatica che Trump intende applicare nella sua seconda stagione da presidente. Con uno stile più assertivo, certo. Ma con un approccio più calibrato rispetto al passato.
Una strategia che guarda anche all’Europa
Infine, c’è un’altra lettura da tenere in considerazione. Il viaggio di Trump in Medio Oriente, il secondo in meno di due mesi, arriva mentre l’Unione Europea prepara nuove sanzioni contro la Russia e discute della tenuta del fronte atlantico. Il messaggio di Trump è anche per Bruxelles: l’America torna protagonista, con un’agenda propria e con strumenti di pressione che l’Europa non ha.
Oggi l’amministrazione americana ha annunciato che saranno stanziati 600 miliardi di dollari in dieci anni per infrastrutture energetiche in Medio Oriente. Un piano di investimenti congiunto con l’Arabia Saudita, che va ben oltre l’orizzonte della crisi siriana. Un tentativo, neanche troppo velato, di ridurre l’influenza cinese nella regione e di ricompattare il blocco occidentale.
Trump, come sempre, punta alto. E lo fa con la certezza di chi vuole lasciare il segno. Anche – e forse soprattutto – nei dossier che scottano.