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Trump proclama la resa degli Houthi, ma gli attacchi a Israele continuano

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Trump proclama la resa degli Houthi, ma gli attacchi a Israele continuano

Donald Trump, tornato da mesi alla guida degli Stati Uniti, ha scelto il tono solenne del leader vincitore: “Gli Houthi si sono arresi. I bombardamenti americani si fermano. Loro ci hanno garantito che non attaccheranno più le nostre navi”. Una dichiarazione potente, pensata per segnare un punto diplomatico e militare nel caos del Medio Oriente. Ma mentre Trump parla dalla East Room, un missile Houthi colpisce un cargo israeliano al largo di Eilat. I ribelli sciiti yemeniti lo ribadiscono con un comunicato stringato: “La resistenza a Israele non si ferma”.

Trump proclama la resa degli Houthi, ma gli attacchi a Israele continuano

Secondo quanto trapela da fonti del Pentagono, l’intesa tra Washington e i leader Houthi – avvenuta tramite canali riservati con l’Oman come intermediario – prevede lo stop agli attacchi contro unità navali americane in cambio della sospensione dei raid su Sana’a e Hodeidah. Ma l’accordo non include Israele. E non include nemmeno una de-escalation nei confronti delle rotte commerciali che attraversano il Mar Rosso. È un cessate il fuoco a geometria variabile, che potrebbe sfaldarsi in poche ore.

Gaza ancora sotto assedio
Quasi in parallelo con le parole di Trump, l’esercito israeliano ha ricevuto l’autorizzazione definitiva dal governo a estendere l’offensiva su Gaza. Shin Bet e Stato Maggiore hanno firmato una nuova fase delle operazioni: si punta all’eliminazione dei tunnel rimasti attivi, ma soprattutto alla pressione finale sui leader di Hamas ancora nascosti nel sud della Striscia. La decisione arriva in un momento in cui i civili, ormai privi di acqua e assistenza sanitaria, sono allo stremo. Trump, tuttavia, evita di citare Gaza nei suoi discorsi, spostando l’attenzione sugli "accordi strategici" in costruzione con Israele e i Paesi arabi.

L’annuncio prima del viaggio nella polveriera
“Farò un annuncio importante prima di partire per il Medio Oriente”, ha detto Trump. Il viaggio è previsto nei prossimi giorni e sarà la sua prima visita ufficiale nell’area da quando è tornato alla presidenza. Dietro le quinte, si lavora a un piano ambizioso: una nuova alleanza di sicurezza che coinvolga Israele, Arabia Saudita, Emirati e Bahrein, con l’Iran nel ruolo di nemico comune. Ma l’incognita resta l’instabilità diffusa e la difficoltà di garantire agli alleati locali un cessate il fuoco duraturo, mentre le milizie sciite continuano a muoversi in modo autonomo.

Diplomazia o show elettorale?
Trump cerca di accreditarsi come l’uomo capace di fermare le guerre. Ma nella regione le sue mosse sono lette in modo ambiguo: se da un lato molti attori, compresi Egitto e Oman, vedono con favore una riduzione dell’intervento militare diretto americano, dall’altro cresce il timore che la strategia sia orientata più a raccogliere consensi interni che a risolvere davvero i conflitti. La sua narrazione – “ho imposto la pace con la forza” – è utile in patria, dove la base elettorale chiede risultati rapidi e netti.

Un Medio Oriente che non si allinea

Il messaggio lanciato da Trump è forte, ma la risposta sul campo è debole. Gli Houthi non si comportano come un esercito centralizzato: agiscono per cellule, godono di sostegno esterno e alimentano la propria legittimità con la retorica della resistenza. Resta il dubbio: la presunta resa è un segnale reale o solo un momento mediatico? E soprattutto: può davvero la Casa Bianca dichiarare finita una guerra che altri – da Teheran a Tel Aviv – stanno ancora combattendo ogni giorno?

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