• Tutto con Bancomat. Scambi denaro, giochi ti premi.
  • Esprinet molto più di un distributore di tecnologia
  • Fai un Preventivo

Trump e la fabbrica di morte americana delle esecuzioni

- di: Marta Giannoni
 
Trump e la fabbrica di morte americana delle esecuzioni
Record di condanne, metodi sempre più crudeli: l’America del Far West che perde l’anima.

Negli Stati Uniti la pena di morte è tornata a correre. Nel 2025 le esecuzioni hanno sfondato la soglia che sembrava appartenere al passato e l’ultimo caso in Florida, quello di un sessantatreenne giustiziato con iniezione letale per uno stupro e omicidio del 1988, è solo l’ennesima tacca su un macabro registro. È la contabilità della vendetta, non la giustizia. Un ritorno all’idea primitiva dell’“occhio per occhio, dente per dente”, mentre la maggior parte delle democrazie avanzate la pena capitale l’ha archiviata da anni.

La Florida, in questo scenario, è diventata una fabbrica di morte a ciclo continuo. Con la diciassettesima esecuzione dell’anno lo Stato ha toccato un record storico recente e guida di gran lunga la classifica dei boia americani. Dietro la formula burocratica di “iniezione letale” c’è una stanza bianca, una barella, aghi, farmaci la cui efficacia e umanità sono contestate da anni. E c’è un’America che accetta, tollera, anzi rivendica questo rito come risposta al crimine.

Un 2025 da record: numeri e metodi di morte

Secondo le statistiche più aggiornate, nel 2025 sono già state eseguite 44 condanne a morte in 11 Stati, il valore più alto dal 2010, quando furono giustiziati 46 detenuti. L’onda lunga del “law and order” non è uno slogan: è un numero scritto sul corpo dei condannati. La maggior parte delle esecuzioni avviene ancora con l’iniezione letale, ma il 2025 ha riportato sulla scena anche altri metodi: fucilazione e soprattutto ipossia da azoto, una forma di soffocamento programmato che viene presentata come più “pulita”, più “moderna”.

Dietro questa modernità di facciata si nasconde qualcosa di molto meno neutro. Relatori speciali delle Nazioni Unite e organizzazioni per i diritti civili hanno messo nero su bianco le loro paure. In documenti e dichiarazioni successive ai primi casi autorizzati in Alabama e in altri Stati, gli esperti hanno scritto che l’uso dell’azoto rischia di produrre “una morte dolorosa e umiliante, incompatibile con il divieto di trattamenti crudeli, inumani o degradanti”. Non è il linguaggio di militanti radicali, ma quello di giuristi e medici che guardano a ciò che accade nelle camere della morte americane.

Nel frattempo, la fucilazione – immagini che dovrebbero appartenere ai western in bianco e nero – è tornata pratica codificata in alcuni Stati del Sud, usata già più volte in questi mesi. È difficile non vedere in questo mosaico di metodi un ritorno al Far West giudiziario, dove la forma cambia ma la sostanza resta quella di un potere statale che decide deliberatamente di togliere la vita.

L’America di Trump e il ritorno dell’“occhio per occhio”

Questa nuova stagione del boia non nasce nel vuoto. Donald Trump, già nel suo primo mandato, ha rimesso in moto le esecuzioni federali dopo quasi vent’anni di pausa, firmando una sequenza di condanne a Washington che non si vedeva da decenni. Oggi, tornato alla Casa Bianca, ha trasformato la pena di morte in bandiera identitaria, un messaggio politico ai propri elettori e al mondo.

Fin dai giorni della transizione, Trump ha promesso di perseguire “con vigore” la condanna a morte per “stupratori, assassini e mostri”, e ha presentato la moratoria voluta da Joe Biden come una resa alla criminalità. Il nuovo corso della Casa Bianca ha chiesto al Dipartimento di Giustizia di riaprire il rubinetto delle esecuzioni federali, cancellando la sospensione introdotta nel 2021 e invitando apertamente i procuratori a chiedere la pena capitale nei casi più gravi.

Sul piano simbolico il messaggio è chiarissimo: lo Stato che uccide è di nuovo un tratto d’identità dell’America trumpiana. Washington non si limita più a tollerare la pena capitale negli ordinamenti dei singoli Stati, la rimette al centro della propria agenda, la rivendica, la usa come strumento di marketing politico. In nome delle vittime, certo. Ma con una logica che assomiglia più a una resa alla pulsione di vendetta che a una politica penale razionale.

La rottura con la stagione Biden

Il contrasto con la fase precedente è netto. Nel dicembre 2024 Joe Biden ha commutato le condanne di 37 dei 40 detenuti presenti nel braccio della morte federale, trasformandole in ergastoli senza condizionale. Una decisione discussa e contestata, ma coerente con la moratoria sulle esecuzioni federali e con la dichiarata opposizione personale alla pena di morte. Per i sostenitori dei diritti umani era un segnale di allineamento – tardivo ma importante – agli standard delle altre democrazie occidentali.

Quel gesto è durato pochissimo. L’arrivo di Trump ha rovesciato il tavolo: negli stessi giorni in cui gli Stati più attivi – dalla Florida al Texas, dall’Alabama alla South Carolina – acceleravano il calendario delle esecuzioni, Washington indicava una nuova linea: “tolleranza zero” anche sul patibolo. È una rottura che ha un significato preciso: la pena di morte torna a essere il luogo in cui l’America sceglie da che parte stare, se accanto ai Paesi che hanno abbandonato la violenza di Stato o nel gruppo ristretto di chi la rivendica come strumento di governo.

Una democrazia sempre più isolata sul terreno dei diritti

Oggi gli Stati Uniti sono una delle pochissime democrazie avanzate a praticare ancora la pena di morte. La maggior parte dei partner europei l’ha vietata da decenni, molti Paesi del continente americano hanno abolito il boia o ne hanno sospeso l’uso. Washington, invece, prosegue con passo deciso, al punto che il numero complessivo di esecuzioni torna a livelli che non si vedevano da oltre dieci anni.

Questo isolamento non è solo statistico. Ogni nuova esecuzione rende più fragile il discorso americano sui diritti umani, sulla libertà, sullo Stato di diritto. Come può l’America del secondo Trump rivendicare un ruolo di guida morale quando, nello stesso momento in cui denuncia i crimini altrui, programmera con cura il soffocamento di un detenuto con il gas azoto o la sua fucilazione dentro una prigione del Sud? La contraddizione è talmente evidente da essere ormai oggetto di critiche esplicite nei documenti di organismi internazionali e nei rapporti delle ONG.

C’è poi il tema degli errori giudiziari. Dal ripristino della pena di morte moderna, centinaia di persone condannate al patibolo sono state successivamente scagionate, spesso dopo anni o decenni nel braccio della morte. Ogni esecuzione in questo contesto diventa una scommessa sulla perfezione di un sistema penale che perfetto non è. La pena di morte non ammette appello: se qualcosa va storto, non c’è revisione né risarcimento che possa restituire una vita.

Il laboratorio di crudeltà delle nuove procedure

L’America del 2025 non si limita a mantenere la pena capitale, la sperimenta. Quando gli arsenali di farmaci per l’iniezione letale sono diventati difficili da reperire – per il rifiuto di molte aziende farmaceutiche di fornire prodotti destinati alle esecuzioni – alcuni Stati hanno cambiato strada: gas azoto al posto dei cocktail di sedativi, fucilazioni ristabilite come metodo alternativo, progetti di riattivare perfino vecchi strumenti come la sedia elettrica.

Ogni volta che una di queste procedure viene testata su un essere umano, le cronache raccontano più dubbi che certezze. Testimonianze di esecuzioni durate a lungo, con detenuti che ansimano, si agitano, mostrano segni di sofferenza prima di morire. È la prova che la promessa di una morte “pulita” è un mito consolatorio: lo Stato non sa uccidere in modo asettico, e quando ci prova finisce spesso per trasformare l’esecuzione in uno spettacolo di sofferenza.

Non a caso, autorevoli giuristi e medici hanno invitato gli Stati Uniti a fermarsi, a introdurre almeno una moratoria sulle nuove procedure, a interrogarsi su cosa significhi davvero tortura nel XXI secolo. Una parte crescente della società civile americana – dalle associazioni dei difensori pubblici alle comunità religiose – chiede apertamente l’abolizione della pena capitale. Ma la politica federale, nella stagione del trumpismo di ritorno, appare sorda.

Quando il boia diventa messaggio al mondo

Ogni esecuzione non parla solo ai cittadini americani, ma al resto del pianeta. Il numero record di condanne eseguite nel 2025, la centralità politica che la Casa Bianca sta attribuendo alla pena di morte, l’ostentazione di metodi sempre più discutibili mandano un messaggio chiarissimo: l’America trumpiana non è disposta ad accettare lezioni di umanità da nessuno. Sceglie deliberatamente di collocarsi nel campo di chi risponde al crimine con la morte di Stato.

Per l’Europa, per l’Italia, per chi ancora guarda agli Stati Uniti come modello di democrazia liberale, questo è un campanello d’allarme. La stessa Washington che chiede sanzioni, che invoca il rispetto dei diritti in altre aree del mondo, mostra al tempo stesso una camera di esecuzione che non chiude mai. È difficile sostenere che il boia federale sia compatibile con la pretesa di guida morale globale.

La verità, dietro la retorica della “giustizia per le vittime”, è che la stagione delle esecuzioni record racconta un Paese spaventato, polarizzato, alla ricerca di soluzioni semplici a problemi complessi. Uccidere chi ha ucciso non ricostruisce comunità lacerate, non restituisce alle famiglie ciò che hanno perso, non rende più solido lo Stato di diritto. Al massimo, offre l’illusione di un ordine ristabilito. Ma a prezzo di un arretramento civile enorme.

Un Paese meno sicuro e moralmente più debole

Alla fine, la domanda è brutale e ineludibile: questa valanga di esecuzioni rende davvero l’America più sicura? Le ricerche criminologiche che hanno confrontato Stati con e senza pena di morte non hanno mai trovato prove robuste dell’effetto deterrente delle esecuzioni. Il calo degli omicidi negli ultimi decenni è legato soprattutto ad altri fattori – economia, politiche sociali, polizie meglio organizzate – non alla presenza di una camera della morte attiva.

Ciò che invece è certo è il prezzo pagato in termini di credibilità. Ogni condannato giustiziato nel 2025 – dall’iniezione letale in Florida alle nuove esecuzioni per ipossia da azoto nel Sud – è un tassello di una America sempre più distante dagli standard che dice di voler difendere. È l’America del Far West, non quella della Costituzione come faro dei diritti.

Per questo la stagione dei record nelle esecuzioni capitali non è un dettaglio di cronaca giudiziaria, ma un passaggio politico decisivo. Segna il punto in cui gli Stati Uniti scelgono consapevolmente la barbarie come strumento di governo, sacrificando sull’altare dell’“occhio per occhio” la loro pretesa di superiorità morale. E se a Washington si continua a premere il pulsante delle esecuzioni, è difficile immaginare che il resto del mondo non se ne accorga.

Notizie dello stesso argomento
Trovati 23 record
Pagina
3
03/12/2025
Italian Tourism Awards, Roma accende la notte che celebra il valore dell’industria dei viaggi
Nelle sale storiche del The St. Regis Rome prende forma la sesta edizione degli Italian To...
03/12/2025
Usa, stop alle domande di immigrazione da 19 paesi
Gli Stati Uniti bloccano visti, green card e cittadinanze per cittadini di 19 paesi extra-...
03/12/2025
Netanyahu, sì alle fattorie illegali e la nuova linea in Cisgiordania
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, secondo un documento interno rivelato da Ynet, s...
02/12/2025
Putin avverte l’Europa: «Se volete guerra, la Russia è pronta»
Putin lancia un avvertimento diretto all’Europa prima dei colloqui con gli inviati Usa a M...
02/12/2025
Giornata del dono: l’Italia si accende di rosso tra simbolo, comunità e responsabilità
La Giornata mondiale del dono è diventata un appuntamento atteso dai Comuni italiani
Trovati 23 record
Pagina
3
  • Con Bancomat, scambi denaro, giochi e ti premi.
  • Punto di contatto tra produttori, rivenditori & fruitori di tecnologia
  • POSTE25 sett 720