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Trump ricuce il Medio Oriente: la diplomazia personale del presidente e il nuovo asse con Jolani

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Trump ricuce il Medio Oriente: la diplomazia personale del presidente e il nuovo asse con Jolani
Donald Trump torna a imporsi sulla scena globale non come mediatore, ma come architetto di un nuovo ordine. A Riad, tra cristalli opachi e trattative serrate, ha incontrato Ahmed al-Sharaa, detto Jolani, volto del potere siriano di ricambio. Lo ha fatto da presidente in carica, in un contesto che mescola visioni pragmatiche e un certo gusto per la messinscena. Attorno a lui si è raccolto un gruppo scelto di leader: Erdogan collegato online, Bin Salman regista dietro le quinte, e poi il Qatar pronto a ospitare l’annuncio più atteso – un piano per la fine della guerra nella Striscia di Gaza. Ma prima della pace, c’è stata la firma invisibile sulla decisione che ha fatto discutere: lo stop alle sanzioni contro la Siria. Una mossa che molti definiscono “storica”, ma che per Trump è solo “business as usual”.

Trump ricuce il Medio Oriente: la diplomazia personale del presidente e il nuovo asse con Jolani

L’America trumpiana torna in Medio Oriente non più come garante, ma come partner spregiudicato. L’eliminazione delle sanzioni è il primo tassello di una strategia che unisce politica estera e interessi economici. Non si tratta solo di ricostruire un Paese a pezzi: si tratta di inserirsi nel gioco degli equilibri regionali con una nuova moneta di scambio. Trump parla di “ricostruzione e stabilità”, ma i suoi uomini guardano a pipeline, accordi infrastrutturali, rotte energetiche. E se la Siria rientra nei radar è perché può diventare un punto di snodo, una leva per mettere pressione a Teheran e un modo per riscrivere gli equilibri con Mosca.

Erdogan applaude, Bin Salman osserva, Jolani incassa

Nella nuova grammatica trumpiana, i nemici di ieri diventano alleati provvisori, gli antagonismi si sfumano, gli obiettivi si allineano sotto il peso della realpolitik. Erdogan, nel collegamento video, ha definito la decisione americana “una svolta epocale”. È una frase misurata, ma che dice molto: la Turchia guarda alla Siria non solo come minaccia o come spazio da contenere, ma come futuro cantiere geopolitico. Bin Salman resta prudente, ma ha consentito l’incontro nella capitale saudita: un segnale che la stagione degli attriti è chiusa. Jolani, da parte sua, ha ottenuto ciò che cercava: legittimazione implicita, e soprattutto accesso a un circuito che può trasformarlo da figura ambigua a partner di trattativa.

Dal piano di pace a Gaza alla geopolitica degli affari

La vera mossa, però, Trump la riserva per le prossime ore. Da Doha, secondo fonti vicine al suo entourage, presenterà un piano per fermare la guerra nella Striscia di Gaza. I dettagli sono riservati, ma l’impianto è chiaro: ingenti fondi per la ricostruzione, un piano di demilitarizzazione a tappe e un nuovo meccanismo di garanzia multilaterale. È il “Trump deal” aggiornato, rilanciato con la forza di un secondo mandato e l’idea che ogni conflitto è una trattativa in ritardo. I suoi consiglieri sanno che non basta annunciare la pace, serve scriverla nel linguaggio dei flussi di capitale.

La firma silenziosa sul futuro del Medio Oriente

In quello che è forse il momento più “presidenziale” della sua seconda amministrazione, Trump sceglie di non parlare solo agli americani, ma a un’intera area del mondo che da decenni vive sotto embargo, conflitto e instabilità. La visita a Riad non è stata solo una passerella: è il segnale che il Medio Oriente, per l’America trumpiana, non è più solo un problema da contenere ma un mercato da ricostruire, un equilibrio da riscrivere. E mentre i suoi oppositori denunciano l’ambiguità dell’incontro con Jolani, Trump gioca d’anticipo: “La storia non la scrivono le sanzioni, la scrivono gli accordi”.
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