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Trump chiama Xi, ma ora è la Cina a dettare le regole del gioco

- di: Bruno Coletta
 
Trump chiama Xi, ma ora è la Cina a dettare le regole del gioco
Dopo mesi di muscoli e minacce il tycoon si sgonfia, ha paura e cerca il dialogo: Pechino lo riceve, ma non si piega.
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La telefonata della resa: Trump chiama Pechino
Donald Trump ha rialzato la cornetta. Non per dettare condizioni, ma per chiedere udienza. Il presidente americano ha cercato Xi Jinping per una telefonata – la prima dal suo ritorno alla Casa Bianca – in un gesto che ha tutta l’aria del riposizionamento dopo settimane di toni incendiari. A renderlo noto è stata l’agenzia cinese Xinhua, specificando con precisione che il contatto è avvenuto “su richiesta” di Washington. Niente dettagli sul contenuto, ma il messaggio politico è chiarissimo: il confronto è tornato, ma la postura è cambiata. Ora è Trump che insegue.
Il colloquio segue di pochi giorni l’incontro tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il nuovo ambasciatore americano David Perdue, da poco insediato a Pechino. Un faccia a faccia prudente, che ha aperto il varco al confronto diretto tra i due capi di Stato. Ma la dinamica è inedita rispetto al passato: stavolta non è Xi a cercare legittimazione internazionale, è Trump a chiedere margini di manovra. Solo pochi giorni fa, su Truth Social, aveva elogiato Xi come “un leader intelligente”, per poi aggiungere: “Trovare un’intesa con lui è un’impresa ardua”.
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Pechino detta il ritmo: fermezza e strategia
La Cina non ha mai avuto fretta. Negli ultimi mesi ha risposto colpo su colpo, senza cedere alla provocazione. Dopo le minacce di dazi, le strette sui chip e le espulsioni di studenti, Pechino ha calibrato le contromosse con chirurgica determinazione: blocco delle terre rare, sanzioni simboliche, rafforzamento dei legami con il Sud globale. Non è una reazione isterica, ma un piano. Xi Jinping lo ha detto chiaramente al Congresso del Popolo in marzo: “Non ci faremo intimidire da nessuno. La Cina è pronta a vincere una lunga partita”.
È il principio guida della cosiddetta Xiconomics: resistere alle pressioni esterne, rilanciare l’autonomia tecnologica, potenziare i consumi interni. Mentre Trump cerca di spezzare le catene globali della produzione, Xi le riconfigura a vantaggio cinese. È già successo col Canada, piegato a colpi di contro-dazi. Con l’Australia, Pechino ha imposto un gelo diplomatico e commerciale durato oltre due anni. Risultato: ora anche Canberra chiede udienza.
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Una lezione per l’Europa: la forza è ascoltata
La telefonata Trump–Xi va letta anche in chiave europea. Mentre Bruxelles si divide tra le minacce USA sui dazi auto e le pressioni cinesi sulla transizione verde, la Cina ha dimostrato che la fermezza funziona. Non l’arroganza, né l’acquiescenza. Ma la determinazione, sì. Chi tiene il punto e risponde con razionalità e visione strategica, finisce per imporre le proprie condizioni.
L’Unione Europea, ancora timorosa nel rilanciare una propria autonomia strategica, farebbe bene a trarne ispirazione. Gli Stati Uniti di Trump non sono più affidabili: oscillano tra isolationismo e ricatti bilaterali, sfiancano gli alleati storici e blandiscono i rivali solo quando restano senza alternative. Il tycoon ha capito che con Xi non funziona il bluff. E ora lo teme.

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