Prima le scuse, poi la lettera, infine la citazione in giudizio.
La vicenda che oppone Donald Trump alla BBC ha seguito una traiettoria rapida e tutt’altro che lineare,
culminata in una causa depositata in Florida con una richiesta complessiva che può arrivare a 10 miliardi di dollari.
Lo scontro nasce da un video trasmesso prima delle elezioni presidenziali del 2024,
inserito nel programma di approfondimento Panorama.
Il video contestato e l’ammissione della BBC
Secondo quanto ricostruito da ANSA il 15 dicembre 2025,
la BBC ha ammesso che il discorso di Trump è stato manomesso attraverso il montaggio
di due passaggi distinti, accostati in modo da alterarne il significato complessivo.
L’emittente ha riconosciuto l’errore e ha accettato di fare mea culpa,
parlando però di uno sbaglio involontario, privo di qualsiasi intento diffamatorio.
La spiegazione ufficiale è arrivata anche sotto forma di una lettera di scuse indirizzata al presidente,
nella quale la BBC ha illustrato le proprie ragioni difensive:
il programma, secondo l’emittente, era stato trasmesso solo nel Regno Unito
e non avrebbe prodotto alcun danno concreto alla reputazione di Trump.
“Nessun danno”: la tesi che non convince Trump
Nella lettera, sempre secondo ANSA, la BBC ha richiamato un argomento destinato a pesare anche in tribunale:
l’assenza di un danno effettivo.
Il presidente, infatti, è stato rieletto poco dopo la messa in onda del documentario,
circostanza che, nella lettura dell’emittente, renderebbe difficile dimostrare un impatto negativo reale.
Una linea difensiva netta, ma che non ha minimamente scalfito la posizione della Casa Bianca.
Per Trump, le scuse non bastano:
l’editing resta, a suo giudizio, una manipolazione grave,
avvenuta in un momento politicamente sensibile e con un potenziale effetto distorsivo sul dibattito pubblico.
Da qui la decisione di procedere comunque per vie legali.
La scelta della causa: 5 miliardi (o 10)
Formalmente, Trump chiede 5 miliardi di dollari per ciascuno dei due capi d’accusa indicati nell’azione legale,
arrivando così a un totale di 10 miliardi.
L’impianto combina la diffamazione con la presunta violazione delle norme della Florida
contro le pratiche ingannevoli e sleali.
Una strategia aggressiva, che punta a colpire non solo sul piano reputazionale,
ma anche su quello economico e simbolico.
Una partita che va oltre il singolo video
Al di là del montaggio contestato, la causa rappresenta l’ennesimo capitolo
della guerra aperta tra Trump e i grandi media internazionali.
In questo caso, però, il contesto è reso ancora più delicato dal fatto che
l’emittente abbia ammesso l’errore, pur negando ogni volontà diffamatoria.
È proprio questo cortocircuito — scuse sì, responsabilità no —
ad aver spinto Trump a non fermarsi.
La battaglia che si apre ora non riguarda solo un servizio televisivo,
ma il confine sottile tra errore giornalistico,
manipolazione del racconto e uso politico dell’informazione.