Stato-mafia: le molte facce della verità

- di: Redazione
 
La lettura, fatta dal presidente della corte d'assise d'appello di Palermo, Angelo Pellino, della sentenza di secondo grado sulla (mai come oggi ''presunta'') trattativa tra parti dello Stato e i vertici di Cosa nostra conferma, laddove ce ne fosse bisogno, che la verità non è mai una, che i fatti possono essere interpretati e non invece presi per quello che sono. Una sentenza che, mandando assolti i carabinieri che, secondo l'accusa, trattavano con i mafiosi, gioca sulle finezze che consente il nostro codice penale, perché, se qualcosa che potrebbe essere penalmente rilevante viene commesso, non è detto che in questo determinato comportamento si ravvisino elementi di certa colpevolezza.
Per questo, restando sempre in attesa di potere leggere le motivazioni della sentenza, di cui oggi conosciamo solo l'esito e non già il percorso logico seguito dalla corte per giungervi, bisogna prendere atto di una porzione di verità, tra le poche inoppugnabili: i carabinieri del Ros avviarono un ''confronto'' con la mafia per fermarne la deriva stragista, ma in questo non si può configurare un accordo tra parti che, per loro natura, non potrebbe mai esistere.

Un confronto che, peraltro, i carabinieri hanno sempre definito come un escamotage investigativo per potere giungere alla cattura dei vertici della cupola mafiosa e non certo per scendere a patti con essa.

Per i profani la formula dell'assoluzione di Mori e dei suoi collaboratori -il fatto non costituisce reato - potrebbe significare che nessuno ha fatto nulla di male o di penalmente rilevante. Non è esattamente così perché, a dispetto di quanto hanno detto alcuni commentatori o esponenti politici di parte, una trattativa ci fu, solo che, ad avviso della corte, non ci sono elementi probanti per definirla come un accordo.
Avere dei contatti quindi si poteva, ma non per questo chi dialogava con la mafia intendeva stringere con Cosa nostra un patto scellerato.

Stato-mafia: i dubbi dopo la sentenza della corte d'appello di Palermo

Ma, verrebbe da chiedersi, se il livello dei ''colloqui'' è tale da coinvolgere - anche se a livello di emissari - i vertici di una organizzazione criminale, sia pure con l'obiettivo di fermare attentati e morti, resta sempre nella definizione di qualcosa che ''non costituisce reato''?
Domande, cui si dovrà trovare una risposta in sede di motivazioni.
Quello che resterà difficile, per il giudice estensore, sarà sciogliere il groviglio di cose reali ed ipotesi d'accusa, quelle che in primo grado avevano giustificato una raffica di condanne e che invece oggi, alla luce della sentenza di ieri, sono state ridimensionate, quasi che si sia trattato dell'esercitazione di un ragazzo che vede nella magistratura inquirente il solo sbocco del suo futuro in toga.
Ma l'istruttoria, se è vero che è sfociata nella sentenza di ieri, non ha saputo approfondire e soprattutto dare rango di prova a delle sensazioni, delle ipotesi, delle elaborazioni teoriche che, come spesso accade, sono evaporate con il tempo.

Forse è utile leggere il commento del professore Giovanni Fiandaca, docente di diritto penale a Palermo: ''La contraddittorietà degli esiti processuali dimostra come l'impostazione accusatoria fosse ben lontana dalla regola probatoria dell'oltre ogni ragionevole dubbio''.
Affermazione che potrebbe essere tradotta in una sonora bacchettata a chi, inquirente e giudicante della prima sentenza, non ha saputo blindarsi contro una certa corrente di pensiero che cercava colpevoli da condannare, pur non riuscendo a sostenere l'accusa con l'incontrovertibilità delle prove. Partendo, comunque, dall'assunto che quanto fecero i carabinieri del Ros non fu reato, è stato quasi scontato che la corte d'assise d'appello di Palermo mondasse da ogni accusa i ''politici'' per il semplice motivo che mancava il presupposto logico per confermare le sentenze di primo grado.
Quindi il nocciolo della sentenza viene rimandato al tentativo dei mafiosi - pesantemente sanzionato dalla condanna - di attivare un canale con chi governava il Paese all'epoca proponendo uno scambio: lo stop agli attentati stragisti in cambio dell'allentamento dei durissimi vincoli del regime carcerario regolato dal 41 bis.

Ma di questo progetto, a detta dei giudici d'appello, non faceva parte Marcello dell'Utri se non nell'idea di qualcuno che potesse essere - lui palermitano - un tramite ineludibile per raggiungere Silvio Berlusconi. Dell'Utri assolto è quindi la demolizione di un teorema accusatorio non sostenuto da prove, perché altrimenti - vista la seconda sentenza - non potrebbe essere.
La sentenza di Palermo ha ridato fiato allo schieramento politico che da sempre sostiene che Silvio Berlusconi sia stato oggetto, da quasi trent'anni a questa parte, di una persecuzione giudiziaria esclusivamente dettata da motivazioni politiche e che oggi rilancia, di conseguenza, con l'ipotesi di una ingiustificata caccia alle streghe nei confronti dell'ex Cavaliere, la possibilità che lo si mandi al Quirinale. Una ipotesi che quasi sicuramente rimarrà tale, anche se in politica le opinioni cambiano non per convinzione, ma solo per convenienza. Il prossimo presidente della repubblica, non interessa chi, uomo o donna, politico o laico, deve avere una statura internazionale tale da convincere l'Europa che siamo ancora, come Paese, un interlocutore affidabile.

I trascorsi di Berlusconi, le sue infinite peripezie giudiziarie (a suo giudizio, completamente inventate e frutto solo di odio politico), lo renderebbero tale in anni in cui il dialogo con Bruxelles potrebbero essere anche duro da sostenere? Forse sarebbe il caso di ricordare i sorrisetti di Nicholas Sarkozy e di Angela Merkel, nel 2011, a Bruxelles, durante una conferenza stampa congiunta, ad una domanda sull'affidabilità di Berlusconi. Sorrisetti che scatenarono una risata generale dei presenti nella sala stampa.
Quei tempi sono lontanissimi, con Sarkozy alle prese con problemi seri e Merkel al passo d'addio.
Ma siamo sicuri che il giudizio degli ''altri'' su Berlusconi sia mutato?
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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