Sanremo: quando la cultura cede il passo alla politica
- di: Diego Minuti
È forse inutile accodarsi alla lunga fila di coloro che contestano il Festival di Sanremo, sul cui peso culturale si è detto di tutto e di più, soprattutto in senso negativo. Inutile, poi, porre l'accento sui criteri che hanno indotto la direzione artistica a dimenticare, nel formare la squadra dei concorrenti, quanto un certo tipo di cantautorato italiano di qualità abbia fatto per la canzone italiana. Né, allo stesso modo, si può perdere tempo sul cerchiobottismo di Amadeus (che poteva fare e disfare senza doverne rendere conto a nessuno, aggiungiamo giustamente, visto il suo ruolo) che ha imbottito il cast di giovanissimi uniformati e di ''maturi'' interpreti, come a volere dare a tutti un'occasione per sedersi davanti alla tv per guardare il Festival. Scelte che il conduttore difende a spada tratta, ma sulle quali si può anche aprire un dibattito, senza per questo mancare di rispetto a nessuno. Però, quando il Festival da artistico-musicale diventa ''politico'', nell'accezione più ampia del termine, qualche riflessione deve essere concessa.
Sanremo: quando la cultura cede il passo alla politica
Nessuno può impedire ad Amadeus, nella sua qualità di dominus assoluto della manifestazione, di prendere delle decisioni. Allo stesso modo, però, non si può accettare che non ne prenda quando è necessario, quando una mancata presa di posizione diventa un avallo. Il caso della enorme libertà concessa a Fedez di dire quel che voleva, senza che qualcuno eccepisse alcunché, se non con una blanda presa di distanza dal contenuto delle sue affermazioni, poteva trovare una giustificazione se a organizzare Sanremo fosse stato un gruppo privato di imprenditori del settore dell'intrattenimento che decidono in base alle tendenze e alla risposte del mercato.
Ma non è questo il caso perché Sanremo, formalmente in mano al Comune, nei fatti è una creatura della Rai che all'ente paga fior di denari assumendosene oneri ed onori. Quindi la Rai, nella sostanza, è l'editore di Sanremo e non può trincerarsi dietro una concessa libertà di espressione per giustificare il fatto che un artista (per qualcuno non lo è affatto, ma questo è affare che non è nostro), che si ritiene portatore di alcuni valori, ne faccia oggetto di un messaggio che, veicolato da un formidabile strumento di comunicazione come l'evento sanremese e senza che su di esso fosse esercitato un controllo di merito, raggiunge senza alcun filtro milioni e milioni di persone.
Che, aggiungiamo, possono essere anche gratificate dai concetti espressi da Fedez, ma ce ne sono altrettanti che non li condividono. La Rai, quindi, e chi essa ha messo al timore della corazzata Sanremo, ha mostrato una inadeguatezza funzionale, nel momento in cui non ha riaffermato il valore culturale del Festival rispetto a quello politico che gli si è voluto attribuire. Giusto parlare di Costituzione, giusto parlare di valori universali, ma nel momento in cui ti schieri contro un esponente politico (poco importa a quale schieramento appartenga) fai una scelta, che pesa perché resta. Nella vita tutto è scelta politica, dalle cose che dici e leggi, ma anche dai comportamenti quotidiani non vincolati ad una ideologia. Ma sono comportamenti che ciascuno si forma autonomamente e che tutti devono rispettare, anche se non li si condivide. Però è quasi scontato aggiungere che quando un evento porta in sé una forte carica comunicazionale, è normale che si cerchi di impossessarsene o, almeno, di condizionarlo. Oggi quindi il Festival di Sanremo è sul vetrino della coalizione di governo che fa fuoco e fiamme, dicendo che è un bastione della sinistra. Cosa forse non lontana dalla realtà, ma che nasconde l'insidia che ora l'obiettivo, nemmeno tanto segreto, è che ad una egemonia se ne voglia sostituire un'altra e invece non si pensi ad una riforma che limiti i condizionamenti di una classe politica che, senza guardare al colore, non riesce a nascondere la sua voracità.
Anche se è oggettivamente impossibile che un televisione di Stato non subisca l'influenza della classe politica. Il Festival di Sanremo è uno scalpo con il quale molti vogliono agghindare la loro tenda e bene lo hanno compreso coloro che, approfittando di un palco e di un microfono, e quindi della notorietà del momento, lanciano appelli che possono trovare albergo ovunque, ma non in una manifestazione che dovrebbe essere lontana da strumentalizzazioni. Perché sentendo qualcuno che invoca la liberalizzazione delle droghe (speriamo si riferisse a quelle leggere...) dal palcoscenico dell'Ariston la gente potrebbe pensare che quel messaggio abbia una condivisione anche di chi ''organizza'' e che, sentendo l'appello, non prende immediatamente le distanze trattandosi di una materia talmente delicata da potere essere gestita a piacimento. Tutto negativo, quindi, dalle parti di Sanremo? No di certo perché, anche questa volta, i suoi contenuti alimentano un dibattito. Anche perché, a volerla dire tutta, lo spettatore-medio si chiede, ad esempio, il senso di scegliere, come messaggere di un messaggio sociale, solo donne, come se le loro siano problematiche di genere e non invece universali.
Le differenze sociali esistono e il fatto di essere donna non concede la titolarità di denunciarle, anche se la condizione femminile in Italia è ancora difficile. Magari, per il prossimo Festival, un paio di suggerimenti ci sentiamo di farli ad Amadeus (sempre che continui). La prima, banalissima, è che magari mandi a parlare agli italiani non donne professionalmente realizzate, ma anche qualcuna che di problemi ne ha tanti e che scandiscono le sue giornate: una lavoratrice, se fortunata, o una disoccupata, che stenta a mettere insieme pranzo e cena. Ecco, quello sì che sarebbe un messaggio vero, scandito da chi magari non viene vestita dalle grandi maison e scende maestosamente la scale dell'Ariston. Un secondo, modestissimo suggerimento è quello di scegliere per bene chi siede nella prima, ambitissima, fila del teatro, magari evitando di riservare dei posti ad appartenenti alla sua ormai onnipresente cerchia famigliare, seduti accanto ai vertici della Rai.