Due milioni di italiani rinunciano alle cure: la frattura della sanità pubblica
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

La sanità pubblica italiana è sempre più sotto pressione, e i numeri pubblicati oggi fotografano una realtà allarmante: oltre due milioni di cittadini hanno rinunciato a curarsi. Una cifra che, da sola, racconta un sistema in affanno, incapace di rispondere ai bisogni primari della popolazione. L’indagine condotta dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) e dal Censis mette in luce una dinamica che si è intensificata dopo la pandemia e che ora minaccia di compromettere uno dei pilastri fondamentali del welfare nazionale. Le lunghe liste d’attesa, le carenze di personale e le disparità regionali creano un quadro che, per molti, si traduce nell’impossibilità di accedere a visite specialistiche, esami diagnostici o interventi chirurgici non urgenti.
Due milioni di italiani rinunciano alle cure: la frattura della sanità pubblica
Il fenomeno della rinuncia alle cure colpisce soprattutto le fasce più fragili della popolazione: persone a basso reddito, anziani soli, famiglie numerose. Ma la tendenza si estende anche al ceto medio, che in passato poteva contare su un accesso relativamente fluido ai servizi sanitari. La sanità pubblica, un tempo considerata un diritto garantito a tutti, oggi sembra privilegiare chi può permettersi di integrare con il privato. Il 60% dei cittadini, secondo l’indagine, ricorre ormai a prestazioni a pagamento per evitare le attese: chi ha la possibilità economica sceglie il privato; chi non ce l’ha, rinuncia. Si consolida così una frattura che divide il Paese anche sotto il profilo sanitario, aggiungendosi alle già note disuguaglianze territoriali.
L’allarme dei medici
Il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, ha lanciato un appello forte alle istituzioni: “Dobbiamo ricostruire il Servizio sanitario nazionale. Non è più tempo di ritardi o soluzioni tampone. La rinuncia alle cure è un sintomo di una malattia sistemica, che mina alla base l’universalità e l’equità su cui si fonda il nostro modello”. Per Anelli, servono investimenti urgenti in personale, infrastrutture e tecnologie, ma soprattutto un cambiamento culturale che riporti la centralità del paziente al centro del sistema. Il rischio, altrimenti, è quello di vedere aumentare la mortalità evitabile, aggravare il carico sulle strutture di emergenza e moltiplicare i costi a lungo termine.
Il nodo delle liste d’attesa
Tra le principali cause della rinuncia alle cure ci sono proprio le liste d’attesa. Tempi che in molte regioni superano ampiamente i limiti previsti per legge, con differenze anche di mesi tra una prestazione pubblica e una privata. Il Piano nazionale di governo delle liste d’attesa, annunciato più volte, stenta a produrre risultati concreti. In alcune aree del Mezzogiorno la situazione è ancora più drammatica, con presidi sanitari insufficienti, medici costretti a turni massacranti e mobilità sanitaria in continua crescita verso le regioni del Nord. Il risultato è un’emorragia di fiducia nei confronti della sanità pubblica, che si riflette anche nell’aumento delle polizze sanitarie private e nel ricorso sempre più frequente a strutture convenzionate.
Prospettive e interrogativi
Nel pieno della discussione parlamentare sulla prossima legge di bilancio, la sanità dovrebbe rappresentare la priorità. Ma i segnali sono contrastanti. La spesa sanitaria italiana rimane sotto la media europea in rapporto al PIL, e molte Regioni faticano a rispettare i piani di rientro dal deficit. Il PNRR, con i fondi destinati alla medicina territoriale e alla digitalizzazione, rappresenta un’opportunità, ma le tempistiche e le modalità di attuazione rischiano di non essere all’altezza della crisi in atto. Intanto, quei due milioni di italiani che hanno già rinunciato a curarsi sono il volto più evidente di una crisi che non è più solo tecnica o organizzativa, ma profondamente politica. E che impone una riflessione collettiva sul significato stesso di “diritto alla salute” nel nostro Paese.