Farmaci, Trump lancia la sfida globale e l’Italia rischia 1 miliardo
- di: Marta Giannoni

Taglio dei prezzi USA fino all’80%, Big Pharma in allarme. Le case europee valutano aumenti, l’Italia può perdere export e accesso rapido ai farmaci.
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La promessa di Trump: “Pagheremo come i più fortunati”
È una dichiarazione che ha il sapore di una rivoluzione copernicana nella sanità globale. Donald Trump ha annunciato via Truth Social la firma imminente di un ordine esecutivo che imporrà agli Stati Uniti di pagare i farmaci “quanto li pagano i paesi che spendono meno”. Il principio è quello della “Most Favored Nation” (MFN), una clausola commerciale convertita in politica sanitaria: se un farmaco costa meno in Francia, in India o in Spagna, sarà quello il prezzo massimo riconosciuto da Medicare negli USA.
“Paghiamo più di tutti, e questo finirà ora”, ha tuonato l’ex presidente, rilanciando una misura già proposta nel 2020 ma stoppata dai tribunali. Questa volta, però, promette applicazione rapida e drastica: “Taglieremo i prezzi dei farmaci tra il 30% e l’80%”.
A essere coinvolti, in prima battuta, sarebbero i farmaci somministrati in ambito ospedaliero e coperti da Medicare Part B — i più costosi, spesso oncologici e biologici — ma l’obiettivo è estendere la norma a tutto il sistema pubblico.
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L’effetto domino sull’Europa e l’allarme in Italia
Le prime reazioni sono arrivate dal mondo farmaceutico, che teme un colpo durissimo ai ricavi globali. Le aziende internazionali vedono il rischio di dover aumentare i prezzi nei paesi a basso costo per evitare che quei listini diventino il riferimento per i prezzi americani. Un meccanismo che potrebbe colpire in pieno l’Italia, tra i paesi con le politiche più rigorose di contenimento della spesa farmaceutica.
Secondo un’elaborazione su dati AIFA, Farmindustria e Prometeia, l’impatto per l’Italia potrebbe essere significativo:
• +500-700 milioni di euro all’anno per il Servizio sanitario nazionale, se i prezzi crescessero anche solo del 5-7%;
• -300-500 milioni di euro in minori esportazioni verso gli Stati Uniti, dove l’Italia esporta circa 4 miliardi di euro l’anno in prodotti farmaceutici.
Totale potenziale: fino a 1,2 miliardi di euro di danno annuale.
Ma c’è un rischio ancora più subdolo: le case farmaceutiche potrebbero ritardare il lancio dei nuovi farmaci nei paesi a prezzo più basso. “L’Italia potrebbe finire in fondo alla lista per l’introduzione dei medicinali innovativi”, avverte Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe. “I pazienti pagherebbero con tempi di attesa più lunghi”.
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Le aziende reagiscono: “Un colpo alla ricerca e all’innovazione”
L’annuncio ha messo in allerta l’intera industria farmaceutica. Julie Kim, dirigente di Takeda, ha parlato di una possibile perdita di 1.000 miliardi di dollari per il settore in dieci anni. La potente lobby PhRMA ha denunciato l’iniziativa come “pericolosamente populista”: “I pazienti americani non avranno vantaggi se i farmaci smetteranno di essere sviluppati”, ha dichiarato il portavoce Robert Zirkelbach.
Anche l’Europa si muove. “L’approccio unilaterale degli Stati Uniti rischia di disintegrare il sistema di prezzi differenziati che consente l’accesso ai farmaci anche nei paesi con meno risorse”, ha affermato Adrian van den Hoven, direttore di Medicines for Europe, federazione che rappresenta i produttori di generici.
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Bruxelles allerta, Roma osserva (in silenzio)
La Commissione europea ha confermato di “monitorare da vicino” l’evolversi della situazione. La commissaria alla Salute Stella Kyriakides ha sottolineato l’importanza di preservare la sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali e l’accessibilità ai farmaci, promettendo un coordinamento con gli Stati membri.
In Italia, per ora, nessun commento ufficiale da parte del ministro della Salute Orazio Schillaci né del ministro degli Esteri Antonio Tajani. Ma a livello tecnico si moltiplicano le preoccupazioni, sia al ministero che presso le Regioni: se il prezzo dei farmaci dovesse sfuggire al controllo attuale, i bilanci sanitari regionali verrebbero messi sotto stress immediato.
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Non è solo sanità: è geopolitica
La mossa di Trump, più che una riforma sanitaria, è una sfida geopolitica lanciata in piena campagna elettorale. Impone una ridefinizione del rapporto tra Stati Uniti e resto del mondo anche sul terreno della salute. “È una guerra commerciale travestita da giustizia sociale”, ha sintetizzato un analista di Goldman Sachs a Politico.
In gioco ci sono i margini dell’industria, l’accesso ai farmaci e la tenuta dei sistemi sanitari pubblici. Ma anche la capacità dell’Europa — e dell’Italia — di difendere il proprio modello di welfare da uno squilibrio che rischia di renderlo economicamente insostenibile.