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Cremlino frena sulle trattative: “Con gli USA solo colloqui tecnici”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Cremlino frena sulle trattative: “Con gli USA solo colloqui tecnici”
Il gelo della diplomazia torna a coprire l’orizzonte già segnato da due anni di conflitto. A riportare i piedi per terra di chi auspicava un’apertura significativa tra Russia e Stati Uniti è stato lo stesso Cremlino: “Con gli USA ci sono stati solo colloqui tecnici, interlocutori. Al momento non esiste alcun accordo concreto”, ha dichiarato il portavoce Dmitry Peskov in una nota ufficiale.

Cremlino frena sulle trattative: “Con gli USA solo colloqui tecnici”

Un messaggio chiaro, che smorza ogni entusiasmo nato attorno al vertice tenutosi nei giorni scorsi a Riad, in Arabia Saudita, dove si sono incontrati – lontano dai riflettori – rappresentanti di Mosca e Washington per discutere, seppur informalmente, del conflitto in Ucraina e delle sue possibili evoluzioni.

Mosca ha deciso di non divulgare i contenuti dell’incontro. “Non abbiamo intenzione di rendere pubblici i dettagli”, ha insistito Peskov, lasciando trapelare solo la volontà di “mantenere aperti canali tecnici e operativi” per gestire eventuali situazioni di crisi. Il fatto stesso che si sia svolto un faccia a faccia a questo livello – con la mediazione saudita – indica comunque un ritorno alla diplomazia di corridoio, quella che non fa notizia ma spesso prepara la scena ai negoziati formali.

La scelta di Riad come sede non è casuale. L’Arabia Saudita sta cercando sempre più di posizionarsi come potenza diplomatica globale, in grado di dialogare sia con l’Occidente che con le potenze eurasiatiche. Un ruolo di equilibrio che torna utile proprio in momenti come questi, dove anche un semplice “colloquio tecnico” può diventare l’inizio di qualcosa di più.

Gli Stati Uniti e il ritorno all’Iniziativa del Mar Nero

Dall’altra parte dell’Atlantico, Washington si muove con prudenza ma determinazione. Una delle priorità della nuova amministrazione – con Donald Trump tornato alla Casa Bianca – sembra essere la riattivazione della cosiddetta Iniziativa del Mar Nero, ovvero quell’accordo mediato nel 2022 dalle Nazioni Unite e dalla Turchia, che garantiva il transito sicuro di grano e prodotti agricoli dai porti ucraini sul Mar Nero verso i Paesi africani, asiatici e mediorientali. Un'iniziativa fondamentale per contenere la crisi alimentare globale.

Il crollo dell’accordo, causato da attacchi russi alle infrastrutture portuali ucraine e da una progressiva sfiducia reciproca tra le parti, ha avuto conseguenze gravi. Secondo i dati ONU, oltre 33 milioni di persone nel mondo dipendono, direttamente o indirettamente, dalle esportazioni agricole dell’Ucraina. Da qui la spinta americana: rilanciare l’accordo non solo come misura umanitaria, ma come leva diplomatica per riprendere il dialogo.

Un alto funzionario del Dipartimento di Stato ha confermato che “si sta lavorando a una nuova cornice multilaterale che garantisca sicurezza marittima, trasparenza logistica e monitoraggio indipendente”. Nessun cenno, invece, a possibili compromessi politici più ampi. Per ora, la parola “pace” resta ancora sospesa.

Zelenskyj: “Nessun compromesso sulla nostra sovranità”

In Ucraina, il presidente Volodymyr Zelenskyj non abbassa la guardia. In un discorso pronunciato a Leopoli, a margine di un incontro con lo Stato maggiore, ha ribadito la linea dura: “La Russia ha voluto questa guerra. Ha violato i nostri confini, ha colpito le nostre città, ha distrutto vite. Ora deve essere costretta alla pace, non premiata”. Zelenskyj ha inoltre ringraziato gli alleati occidentali per il sostegno militare e logistico, sottolineando tuttavia che “il tempo gioca a favore dell’aggressore, se il mondo libero rallenta”.

La frustrazione di Kyiv è tangibile. Dopo mesi di controffensive bloccate, forniture militari in ritardo e una crescente fatica diplomatica tra i partner europei, la sensazione è che il fronte del sostegno all’Ucraina stia entrando in una fase di stallo. Le tensioni politiche in Europa e il ritorno di Trump alla Casa Bianca rischiano di ridisegnare le priorità strategiche dell’Occidente, lasciando Kyiv più sola nella sua resistenza.

Diplomazia in stallo, guerra sul campo

Sul terreno, intanto, la guerra continua. Gli scontri si concentrano nella regione del Donetsk e nei pressi di Zaporizhzhia, con bombardamenti aerei e droni che colpiscono ogni giorno obiettivi civili e militari. Secondo l’intelligence britannica, la Russia sta cercando di consolidare le sue posizioni in attesa della primavera, mentre l’Ucraina teme nuovi attacchi su larga scala.

Il rischio è che l’assenza di un percorso negoziale chiaro spinga entrambe le parti a un nuovo ciclo di escalation. Il freddo delle diplomazie – quello che congela le aperture e irrigidisce le posizioni – si riflette direttamente nelle trincee. E ogni giorno che passa, il costo umano e geopolitico aumenta.

Uno scenario aperto

Siamo di fronte a un bivio. Da un lato, timidi segnali di contatto – come il vertice di Riad – che potrebbero diventare il seme di un dialogo più ampio. Dall’altro, la realtà di una guerra ancora viva, con i suoi morti, le sue macerie, i suoi equilibri precari.

La comunità internazionale dovrà decidere se limitarsi alla gestione dell’emergenza o se investire, davvero, in un processo di pace credibile. Un processo che tenga conto della sovranità ucraina, della sicurezza europea e della necessità di un ordine globale fondato sul diritto, e non sulla forza.

Fino ad allora, i colloqui tecnici restano solo questo: tecnici. E il silenzio del Cremlino sull’incontro a Riad ne è la conferma più amara.

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