Cena con insulti e minacce: si dimette il capo di gabinetto di Gualtieri

- di: Diego Minuti
 
Se è vero che i frutti non cadono lontano dall'albero - a meno di qualche tromba d'aria, come quelle di cui in questi giorni è vittima l'Italia -, si deve dire che Albino Ruberti paga quello che tutti sanno di lui, ovvero che se è una macchina da guerra quando svolge un ruolo istituzionale (era capo di gabinetto del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ovvero era lui a tirare i fili dell'intera macchina del Comune della capitale), è altrettanto vero che, quando si lascia prendere dalla foga, talvolta va ben fuori del seminato. Come accaduto un paio di mesi fa, all'uscita di in un ristorante di Frosinone, dove è stato protagonista, insieme ad altri, nella veste di suoi antagonisti, di una accesa discussione, condita di urli, strepiti e minacce che, seppure formulate in un contesto di concitazione, non possono essere consentite a chi ha/aveva un ruolo delicatissimo come quello di Ruberti.

Si dimette Albino Ruberti, capo di gabinetto di Gualtieri

Che, dopo che Il Foglio ha pubblicato un video (ma soprattutto un audio) della lite, rubato da chissà chi, e dopo soprattutto l'ondata di reazioni (tutte negative, anche dal partito di Gualtieri, il Pd), ha rassegnato le dimissioni, come si dice in questi casi, "con effetto immediato".
Capire dal video quel che è realmente accaduto è abbastanza difficile, se non che Ruberti era imbestialito al punto di minacciare di morte (''lo ammazzo, li ammazzo'') le persone con cui stava litigando. Al netto di ciò che può uscire dalla bocca di chi sta litigando e non si chiami Giobbe, è chiaro che la rabbia del momento spinge a dire cose che non si pronuncerebbero in circostanze normali. Ma non sembra essere questo il caso, perché i decibel dell'accaduto sono stati ben superiori a quelli che si possono pensare per un semplice, ancorché vivace scambio di vedute, come vorrebbe accreditare Ruberti che, nella sua lettera di dimissioni, nel tentativo di mettere una pezza, aggrava ancora di più il giudizio su quando accaduto.

Nella missiva a Gualtieri, Ruberti scrive: ''Confermo che quanto avvenuto trattasi di un litigio verbale durante una cena privata, che nulla ha a che vedere con il mio ruolo istituzionale. In particolare, ho reagito con durezza alla frase 'mi ti compro', che, pur non costituendo in sé una concreta proposta corruttiva, mi ha portato a chiedere, con foga sicuramente eccessiva e termini inappropriati, di ritirarla immediatamente perché l’ho considerata lesiva della mia onorabilità. Sono a disposizione per ogni chiarimento che riterrai necessario e, per evitare strumentalizzazioni che possano ledere il tuo prestigio e quello dell’istituzione che rappresenti, con la presente rimetto il mio mandato da Capo da Gabinetto''.

In altra sede, Ruberti ha detto che si è trattato di una disputa calcistica, ma, quindi, per tornare alla lettera di dimissioni, quel ''mi ti compro'' non avrebbe nulla di logico se legato a beghe intorno ad un pallone. Ma, dando per scontato che si è trattato di una questione di tifo (vengono però i brividi pensando ad un Olimpico gremito di tifosi appassionati, come quelli che frequentano i ristoranti di Frosinone) il ricorso alla minaccia di morte è cosa grave, molto di più della spiegazione auto-salvifica addotta . Anche perché, a sentire e risentire l'audio, le parole pronunciate da Ruberti, come pare in assenza di contraddittorio, sono pesanti, come nelle peggiori sceneggiate napoletane, con il protagonista che intima all'avversario di inginocchiarsi e chiedere perdono, pena la morte.

Cose assurde in un contesto di normalità e che però resteranno inspiegabili sino a quando Ruberti si limiterà a ridurre tutto ad una lite per motivi privati, quasi che lui nella vita di tutti i giorni facesse il farmacista o il macellaio e invece non avesse (non aveva) nelle mani un potere grandissimo, che gli dava un enorme capacità contrattuale, a tutti i livelli, con chi dialoga con il Comune di Roma.
Oggi Ruberti non può ricondurre tutto ad una bega tra una bistecca e un tiramisù, perché la sua scenata è di quelle non certo paragonabili ad una lite tra amici. Cose di cui, siamo sicuri, Albino Ruberti è certamente consapevole, tanto da essere stato costretto a spiegare che quel ''mi ti compro'' tutto poteva essere meno che di una ''concreta proposta corruttiva'', come se una cosa del genere fosse normale, come se - nel caso fosse stata effettivamente fatta - lui non si dovesse alzare e andare subito a denunciare la cosa piuttosto che fare una piazzata.

Che la vicenda rivelata dal Foglio non potesse non avere un seguito politico è confermata dalla dura presa di posizione del Pd (partito di riferimento di Gualtieri), che ha parlato di ''caso gravissimo che non può restare senza conseguenze''. Ora la palla passa al sindaco, perché Roberto Gualtieri è stato messo nella condizione di non potere considerare la storia chiusa con le dimissioni di Ruberti e la loro motivazione. Anche perché il suo ex capo di Gabinetto non può trincerarsi dietro una non meglio specificata vicenda personale, vista anche la qualità delle persone che si trovavano con lui nel momento dello scoppio d'ira: la sua compagna Sara Battisti, peraltro consigliere regionale del Lazio; Francesco De Angelis, ex assessore regionale ed ex parlamentare europeo, nonché candidato per il Pd alle prossime politiche (che ha immediatamente ritirato la candidatura) con il fratello Vladimiro.

Ridurre tutto a un piccolo incidente a cena è insultare l'intelligenza della gente, e su questo dovrebbe interrogarsi Gualtieri, se non vorrà essere anche lui, incolpevolmente, trascinato in polemiche che si protrarranno per giorni. Però, verrebbe da dire, non è che il ''Ruberti furioso'' sia una sorpresa per chi lo conosce e che, per il suo carattere ruvido, lo ha soprannominato ''Rocky''. Nel periodo più acuto della pandemia, forse per emulare Boris Johnson, fece una grigliata, non nei giardini di Downing Street, ma nel quartiere romano del Pigneto, a casa di amici. Cosa che gli costò, manco la bistecca fosse di vitello Kobe, una multa da 400 euro. Poi, qualche mese fa, i suoi due figli adolescenti avrebbero risposto in malo modo e vantando i lombi paterni ad una richiesta di documenti da parte dei carabinieri, che li avevano fermati per un normale controllo ai Parioli. Ma, se è vero che le colpe dei padri non possono ricadere sui figli, lo stesso si deve dire a parti invertite, senza andare a speculare sull'educazione che non si dà.
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