L’8 e 9 giugno gli italiani saranno chiamati a esprimersi su due referendum di iniziativa popolare: il primo riguarda la riforma della cittadinanza per i figli degli stranieri nati o cresciuti in Italia; il secondo propone modifiche al contratto di lavoro a tempo determinato.
Referendum su cittadinanza e lavoro: il governo spinge per l’astensione, parte la sfida politica di giugno
Ma a poco più di un mese dal voto, la posta in gioco si è spostata dal merito dei quesiti alla legittimità stessa della partecipazione. I partiti al governo – Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia – hanno scelto di non fare campagna per il No, ma di invitare apertamente all’astensione, con l’obiettivo dichiarato di non raggiungere il quorum. È una mossa che riapre il dibattito su uno degli strumenti più delicati della democrazia diretta.
Le ragioni del Sì: una riforma simbolica e sociale
Chi sostiene il Sì – in particolare il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra – lo fa in nome di un’Italia più inclusiva. Sul fronte della cittadinanza, si punta a riconoscere i diritti civili a chi è cresciuto nel Paese, pur non avendone formalmente la nazionalità. “Chi nasce e studia in Italia deve avere gli stessi diritti dei suoi coetanei”, è lo slogan della campagna, che parla soprattutto alle nuove generazioni. Sul tema del lavoro, il referendum mira a ridurre la precarietà e a limitare l’abuso di contratti a termine, restituendo tutele a lavoratori spesso compressi in un limbo di incertezza.
Le ragioni del No (tattico): evitare il quorum per bloccare le riforme
Ma il fronte opposto ha scelto una strategia diversa: non confrontarsi nel merito, ma colpire alla radice lo strumento referendario. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno iniziato a promuovere l’astensione come atto politico. “Non andate a votare, lasciate che siano il Parlamento e il governo a decidere”, è la linea adottata. In gioco, però, non c’è solo una scelta tecnica. Si riapre il nodo – antico e irrisolto – del rapporto tra rappresentanza e partecipazione, tra democrazia parlamentare e popolare. L’astensione come tattica elettorale rischia di svuotare il referendum del suo valore costituzionale.
Un voto che può ridisegnare l’agenda pubblica, anche senza quorum
La consultazione dell’8 e 9 giugno, anche nel caso in cui non raggiungesse il quorum, rappresenterà comunque un test simbolico importante. La mobilitazione delle piazze, il tono del dibattito pubblico, la partecipazione giovanile, saranno elementi osservati con attenzione dai partiti e dai media. Il rischio, dicono alcuni analisti, è che il disinteresse venga scambiato per consenso, e che una parte del Paese resti priva di voce. Il referendum, nel bene o nel male, torna a essere terreno di battaglia politica. E a decidere, alla fine, sarà anche chi sceglierà di non decidere.