Il Servizio Sanitario Nazionale è stato a lungo un fiore all’occhiello del Paese soprattutto dinanzi ad altre nazioni in cui senza un’assicurazione non è possibile essere curati. Istituito dal Parlamento il 23 dicembre 1978 mediante la legge 833 in attuazione dell’art. 32 della Costituzione, ha rappresentato un radicale cambio di rotta nella tutela della salute delle persone, un modello di sanità pubblica ispirato da princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità e finanziato dalla fiscalità generale. Un Ssn che ha permesso di ottenere eccellenti risultati di salute e di aumentare l’aspettativa di vita e che tutto il mondo continua a guardare con ammirazione.
Sanità, rapporto Gimbe: "4,5 milioni di italiani rinunciano a curarsi per motivi economici"
Tuttavia, già nel marzo 2013, in occasione del lancio della campagna «Salviamo il Nostro Ssn», la Fondazione Gimbe aveva previsto che la perdita del Ssn si sarebbe manifestata attraverso i decenni, in un processo inesorabile che avrebbe eroso il diritto costituzionale alla tutela della salute. E se fino alla pandemia la sostenibilità del Ssn è rimasto un tema tra addetti ai lavori, oggi la tenuta della sanità pubblica, prossima al punto di non ritorno, coinvolge 60 milioni di persone. I principi fondanti del Ssn sono stati traditi: l’universalismo è lettera morta, visto che i Livelli essenziali di assistenza (Lea) non sono esigibili da tutti; l’uguaglianza e l’equità sono ormai un miraggio, viste le profonde diseguaglianze nell’accesso a servizi e prestazioni. Il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate si sta inesorabilmente sgretolando la vita quotidiana dei cittadini è minata da problemi innumerevoli: interminabili tempi di attesa, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità a iscriversi ad un medico di famiglia vicino casa, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata e impoverimento delle famiglie sino alla rinuncia alle cure. Oggi, i dati del 7° Rapporto Gimbe sul Ssn, presentati presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica, documentano che la Sanità pubblica è allo stremo. Un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 euro rispetto alla media dei paesi Ocse membri dell’Unione europea, con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi, frutto del costante definanziamento attuato da tutti i governi negli ultimi 15 anni. E il futuro non è affatto roseo: secondo il Piano strutturale di bilancio approvato dal governo nel 2026 il rapporto spesa sanitaria/Pil scenderà al 6,2%. La spesa pagata di tasca propria dai cittadini nel 2023 è aumentata del 10,3%, 3,8 miliardi in più del 2022. Un impatto sulle famiglie che, oltre a rendere sempre meno esigibile il diritto universale alle cure, nel 2023 ha costretto quasi 4,5 milioni di persone a rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui circa 2,5 milioni per motivi economici.
Inoltre, la crisi di medici e infermieri che abbandonano il Ssn ha generato una carenza di personale che compromette qualità e accessibilità dei servizi sanitari e aggrava i disagi per i pazienti. Tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11.000 medici e si stima che nel solo primo semestre del 2023 altri 2.564 medici abbiano abbandonato il servizio pubblico.
Ma a mancare sono soprattutto gli infermieri: l’Italia ne conta solo 6,5 ogni 1.000 abitanti, tra i numeri più bassi d’Europa. Riguardo i Lea, le prestazioni che il Ssn è tenuto a fornire a tutte le persone, nel 2022 solo 13 Regioni hanno rispettato gli standard, con un divario sempre più marcato tra Nord e Sud. Le uniche Regioni del Mezzogiorno promosse sono Puglia e Basilicata, che si posizionano comunque in fondo alla classifica. E la mobilità sanitaria riflette questo squilibrio, con i pazienti del Sud che migrano verso le Regioni del Nord, gravando ulteriormente sui bilanci già fragili delle aree meno sviluppate: in dettaglio, nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un debito di quasi 11 miliardi. Nel frattempo si è involuta la percezione pubblica del valore del Ssn: salute non più un bene supremo da tutelare secondo il dettato costituzionale, ma una merce da vendere e comprare. Una pericolosa involuzione che spiana la strada ad una sanità regolata dal libero mercato, dove le prestazioni saranno accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà sottoscritto costose polizze assicurative che non potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura globale come quella offerta dal Ssn. Senza una rapida inversione di rotta, da un Servizio sanitario nazionale fondato per la tutela di un diritto costituzionale si arriverà, presumibilmente, a 21 Sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato.
Perdere il Ssn non significa solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto mortificarne la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi. È per questo che la Fondazione Gimbe ha realizzato il Piano di rilancio del Ssn: un programma in 13 punti che mantiene come bussola l’articolo 32 della Costituzione e il rispetto dei principi fondanti del Ssn, mettendo nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con risorse adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna riorganizzazione. Per attuare questo piano, la Fondazione Gimbe ha invocato un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni ideologiche di partito e avvicendamenti dei governi, riconoscendo nel Ssn un pilastro della nostra democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico dell’Italia. Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti informati e responsabili, consapevoli del valore del Ssn, e a tutti gli attori della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare il bene comune.