Rapporto Coop 2024: un Paese inquieto nell’anno delle scelte

- di: Barbara Leone
 
Il 2024 si prospetta come un anno decisivo, segnato da scelte che incideranno profondamente sul futuro del mondo, non solo a livello globale, ma anche nelle vite quotidiane dei singoli individui. È un anno in cui 76 Paesi, tra cui le principali potenze mondiali (a partire dagli Stati Uniti), vedono i loro cittadini chiamati alle urne. Queste elezioni coinvolgeranno oltre metà della popolazione mondiale, ma mai come oggi la democrazia non può essere data per scontata. Deve essere difesa attivamente. Non è un caso, infatti, che l'affluenza alle elezioni europee dell'ultimo anno sia stata in media del 51%, rispetto al 42% di dieci anni fa. Non solo. Perché questo è anche questo l’anno in cui per il proliferare dei conflitti il ricorso alle armi torna ad essere un’opzione concreta. Una consapevolezza quest’ultima che sembra oramai acquisita anche nel nostro Paese; un italiano su 3 dichiara la sua preoccupazione per le tensioni internazionali, la maggioranza (il 55%) si dice favorevole alla reintroduzione della leva militare obbligatoria e il 65% ritiene necessario intervenire in un conflitto nel caso l’adesione alla Nato lo richiedesse, accettando anche per il 15% del campione l’invio di truppe di terra.

Rapporto Coop 2024: un Paese inquieto nell’anno delle scelte

A generare altra preoccupazione fra i nostri connazionali è anche il cambiamento climatico. Se è vero infatti che le conseguenze del climate change si scaricheranno soprattutto sul sud del mondo (anche se la metà delle emissioni dei gas serra è responsabilità di appena un decimo della popolazione, la più ricca), l’Italia per la sua condizione geografica e la posizione al centro del Mediterraneo ne subirà i maggiori effetti in Europa come teme il 55% dei manager intervistati nella survey “Looking Forward”, per non parlare del 37% degli intervistati che vede tra i principali rischi del surriscaldamento del Pianeta anche la difficoltà di approvvigionamento di materie prime (e il 52% dà già per certo l’aumento dei costi operativi). Peraltro, proprio la sua posizione espone l’Italia ai maggiori flussi migratori che verranno dal continente africano, protagonista nei prossimi trent’anni di una eccezionale crescita demografica. A livello economico, scampato il pericolo della stagflazione e con un Pil globale che va meglio di quanto previsto (+3,2% le ultime previsioni sulla crescita), a tirare la volata sono sempre più le economie emergenti (al fianco della Cina, si rafforza l’India) ma con l’Italia che rivela una sorprendente capacità di resilienza e non è più l’ultima d’Europa anche se in un contesto continentale certo non brillante. +0,9% la previsione Pil Ue a fine 2024 a fronte di una previsione pari a +0,7% del Pil del nostro Paese, mentre il 61% dei manager intervistati nella survey dichiara il suo ottimismo su una crescita economica dell’Italia superiore o quanto meno in linea con la media europea nei prossimi anni.

La modesta ripresa economica non basta però a tranquillizzare gli italiani. La fotografia scattata dal Rapporto Coop 2024 è quella di un Paese inquieto, dove si riduce la quota di chi guarda con fiducia al futuro (che scende di 4 punti in due anni) e aumenta il timore (+ 11 punti percentuali 2024 su 2022). Le giovani generazioni, sulle quali si scarica maggiormente il peso del futuro incerto che si prospetta, pur non mostrando piena consapevolezza di ciò, sono più mobilitate dei loro coetanei europei ad attivarsi per cercare di cambiare la società in cui vivono; il 52% lo ha fatto rispetto a un 48% della media europea. Una inquietudine di fondo generata anche dal fatto che la maggioranza degli italiani (il 55%) è alle prese con una vita ben diversa dalle proprie aspettative di partenza molto spesso in senso peggiorativo (44% del campione). Un sentiment con cui gli italiani si proiettano in avanti che cozza con i dati dell’oggi. Seppur in modo diseguale. Se è vero infatti che il potere di acquisto nel nostro Paese ha recuperato i livelli pre-pandemia e che oggi più di ieri sono diminuiti gli italiani che hanno vissuto situazioni di disagio profondo (l’ammettevano 20 milioni di persone nel 2022 rispetto ai 12 milioni di oggi) e che le famiglie in difficoltà ad affrontare una spesa imprevista di 800 euro passano dal 45% del 2023 al 33%, restano comunque ampie le difficoltà sociali del Paese. E anche questa faticosa tenuta non è avvenuta senza sacrifici. Innanzitutto, l’overworking è la leva principale con cui gli italiani provano a difendere il loro tenore di vita; infatti, già nel 2023 per ottenere redditi reali di poco superiori a quelli di 5 anni fa sono stati costretti a un surplus di ore lavorate (un miliardo e mezzo di ore in più). E, come spesso accade, sono molto ampie le differenze tra i settori economici. Ad esempio, i redditi per occupato dei lavoratori della sanità sono calati dell’8,5%, quelli dell’istruzione dell’11,2% mentre per altri come il settore costruzioni o l’ambito immobiliare i redditi sono cresciuti rispettivamente del 4,6% e del 6,4%. Forse anche per questo a precisa domanda il 75% degli intervistati non esita a dichiararsi insoddisfatto in primo luogo della propria retribuzione.

Con il recupero dei redditi anche i consumi tornano, in termini reali, ai livelli pre-pandemia (+0,3% nel 2023 rispetto al 2019), ma più che in passato sono ostaggio delle spese obbligate che limitano di molto gli spazi discrezionali delle famiglie. Non sorprende allora che la parola chiave con cui gli italiani si approcciano ai consumi sia il risparmio, di gran lunga il primo criterio di scelta negli acquisti (lo dice il 75% del campione) sia che si tratti di riempire l’armadio sia di scegliere un’auto (peraltro sempre più frequentemente usata, tanto che sono 15 milioni gli italiani che hanno rinunciato all’acquisto dell’auto nuova nel 2024), mentre rimane un miraggio la casa di proprietà (-2,1% le compravendite nel corso di quest’anno). Anche i prodotti tecnologici a partire dallo smartphone, fino all’altro ieri oggetto dei desideri, hanno perso buona parte della loro attrattività e le vendite a volume nell’ultimo anno scendono di oltre il 6% e proprio lo smartphone con i suoi accessori (-7,4% e quanto a numero di pezzi quasi un milione in meno anno su anno) insieme alle tv e ai pc registrano cali significativi (mentre crescono prodotti tech per la cucina e il beauty). Sostanzialmente una vita a basso impatto dove l’essenziale diventa centrale, il superfluo viene drasticamente ridotto. Tra i comportamenti emergenti in fatto di abitudini di consumo non stupisce trovare il tema del riparare oggetti piuttosto che sostituirli (il 26% con maggiore frequenza in prospettiva) e il ricorso ai prodotti di seconda mano (nelle prossime intenzioni di acquisto dichiarate dal 24%). Ed è così che si fa largo un ripensamento significativo della propria identità. Per l’85% del campione piuttosto che la capacità economica e lo status sociale è proprio la dimensione personale e privata a caratterizzare la percezione di sé stessi, a partire dalla famiglia, dalla propria situazione affettiva e anche dal dispiegarsi delle proprie doti etiche e morali. Anzi, l’acquisto e il possesso di beni smettono di essere aspirazionali e sembrano perdere per buona parte degli italiani quegli attributi di gratificazione personale e di riconoscibilità sociale che pure hanno caratterizzato una lunga fase della nostra società degli ultimi decenni. Una indifferenza per gli acquisti (coloro che aumenteranno gli acquisti solo per il mero piacere di comprare sono meno di chi invece aumenterà questo approccio di consumo, -3 punti percentuali) e uno strisciante de-consumismo che relega i forzati del lusso in una trincea sempre più minoritaria e oramai appannaggio solo dei super ricchi. In tanta frugalità, sopravvive invece, e anzi si rafforza, la propensione al benessere personale e a un vero e proprio culto del corpo. Ne deriva da un lato una sana attenzione alla propria salute che tra l’altro spinge gli italiani nelle braccia della sanità privata; il 23% della spesa sanitaria nel nostro Paese (40,6 miliardi di euro) è finanziata direttamente dai cittadini. E qui spunta anche una propensione positiva verso un’applicazione dell’AI per quanto riguarda il progresso tecnologico, le scoperte scientifiche e anche le applicazioni in campo medico a tutela proprio della salute. Più sorprendente a fianco di questo utilizzo tutto sommato strumentale dell’AI, il fatto che un italiano su tre dichiari di poter in futuro persino sviluppare un legame affettivo con un umanoide digitale o un sistema operativo. O la disponibilità dichiarata dal 37% di farsi impiantare un microchip per eseguire piccole azioni quotidiane come pagare digitalmente o altro. Dal culto del proprio corpo deriva anche il mantra del “tutti a dieta”, siano esse diete ipocaloriche, salutistiche e dello sport praticato oramai a vario titolo da 4 italiani su 10 (quasi 17 milioni di persone). E dall’altro si profila l’ossessione per i trattamenti estetici e la cosmesi, dove la parsimonia prima evidenziata sembra attenuarsi e in certi casi scomparire; gli italiani spendono in media 350 euro all’anno per cure estetiche, la variazione di vendite di prodotti cosmetici (2024 su 2019) è a doppia cifra (+29%), fino a sfiorare comportamenti disfunzionali (8,6 milioni gli italiani che assumono o sono interessati a ricorrere a farmaci per il diabete per dimagrire).

Dopo gli anni difficili dell’impennata dei prezzi, che aveva messo in profonda difficoltà gli acquisti degli italiani e la loro stessa identità alimentare, nel 2024 l’inflazione si azzera e i volumi del largo consumo tornano dopo quattro anni in positivo (+0,9% nel primo semestre 2024 rispetto al 2023). Guardando ai soli canali iper, super e libero servizio nel primo semestre 2024 le vendite a volume sono state superiori a quelle del 2019 del 3,9%. Il cibo rimane, anche nelle previsioni, l’unico comparto in cui tagliare la spesa è una opzione solo per una ristretta minoranza degli italiani; il 21% del campione dichiara che aumenterà la sua spesa contro il 10% che intende diminuirla. Tornano a crescere allo stesso modo il numero degli italiani che dichiara una identità alimentare (+6% sul 2023), non più una sola però ma molteplici. Pur nel solco della tradizione, sono infatti molti gli italiani che si affrancano da un approccio troppo dogmatico e si aprono alla scoperta di nuovi stili alimentari; più esploratori che custodi. Se un italiano su 3 (34%) infatti privilegia ancora la dieta mediterranea, si affermano le diete ricche di proteine non animali ovviamente, con l’iperproteico (7% dei consumatori, +2%) sul 2023, e tutti quegli stili attenti al peso forma; quindi, crescono il fit sport (6%, +2%) e il digiuno intermittente (7%, +3%) senza tralasciare che rimangono pressocché stabili il flexitariano, il reducetariano e il climatariano. Prevalgono dunque a ben vedere gli stili orientati al benessere e alla sostenibilità. Da sempre, d’altronde il cibo è per noi italiani rispetto alla media europea più di un nutrimento fine a sé stesso e, vista la propensione attuale, non stupisce come i nostri connazionali siano ben più attenti a una alimentazione sana rispetto al resto degli europei. Coloro che pensano di rafforzare questa propensione sopravanzano di 36 punti percentuali chi la diminuisce; una differenza più alta di quella europea che si ferma a 31 punti percentuali. E sempre gli italiani sono anche gli unici, almeno a parole, a dirsi disposti a pagare di più per avere prodotti salutari (complessivamente e al netto di chi non sarà disposto, +15%; a fronte di una media Ue ferma a +1%). Sempre di più la scelta del cibo passa dalla testa piuttosto che dalla pancia e questo spiega molte delle rinunce in atto. Una riscossa salutistica che non lascia a casa nemmeno il biologico ritornato dopo anni di appannamento tra i desiderata degli italiani: sono 24,8 milioni le famiglie già acquirenti con una penetrazione del 96,6% e 9,6 milioni gli italiani che nei prossimi mesi ne aumenteranno l’acquisto. Queste nuove sensibilità trovano una chiara avanguardia anche nell’approccio che le generazioni più giovani hanno nei confronti del cibo dove al pragmatismo nella ricerca del prezzo più basso (il 51% lo considera il fattore su cui basa la sua decisione di acquisto) si affiancano alternative più rispettose dell’ambiente (il 58% sceglie prodotti di stagione, il 39% privilegia freschezza e qualità). Sul versante dei comportamenti di acquisto, i prodotti a marchio del distributore (Mdd) e i discount continuano a rappresentare i migliori interpreti di questa nuova “saggezza” dei consumi. Nel primo semestre 2024 la Mdd raggiunge a volume il 38,2%% delle vendite totali del mercato con un incremento di 2,2% a valore e 2,4% a volume rispetto allo stesso periodo 2023, a fronte di una variazione dei prodotti di marca (TOP 20) del -0,5% a valore e -2,2% a volume. Allo stesso modo continua la crescita del discount che, anche grazie ad una continua espansione della rete di vendita, raggiunge il 23% di quota di mercato, con un incremento di circa 4 punti percentuali. rispetto al 2019.

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