Privatizzazione Poste: si frena sulla cessione del 14% del Gruppo per timori di svendita all'estero

- di: Barbara Bizzarri
 

L’operazione di cessione di una quota del 14% di Poste Italiane, pianificata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), incontra una fase di stallo. Il piano predisposto dal MEF, inizialmente pronto per il mercato, è ora soggetto a una revisione, poiché tra gli ambienti finanziari ben informati sul dossier è ormai chiaro che la cessione non avverrà entro la fine del 2024, ma è destinata a slittare al 2025. Questo rinvio incide ulteriormente sul progetto di privatizzazioni, che già accumula ritardi rispetto agli obiettivi.

Privatizzazione Poste: si frena sulla cessione del 14% del Gruppo per timori di svendita all'estero

In primavera, il Documento di economia e finanza (DEF) aveva già ridimensionato le aspettative, fissando l’obiettivo per il triennio 2024-2026 allo 0,7% del PIL (circa 14 miliardi), una riduzione rispetto ai 20 miliardi previsti nella manovra dello scorso anno. Attualmente il MEF ha raccolto circa 3 miliardi: con la cessione di un 2,8% di Eni tramite operazioni di accelerated bookbuilding, ha incassato 1,4 miliardi, e tra novembre 2023 e marzo 2024 ha raccolto 1,5 miliardi dalla vendita di quote di MPS, anche se parte di queste risorse è riferita all’anno scorso. Per avvicinarsi agli obiettivi prefissati, servirebbe ora raccogliere altri 3 miliardi, di cui 2,5 miliardi sarebbero dovuti arrivare dalla cessione di una quota di Poste.

Il piano di cessione e i dettagli del coinvolgimento di Poste Italiane

Attualmente, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, insieme a Cassa Depositi e Prestiti (CDP), detiene circa il 65% di Poste Italiane. Il decreto approvato a metà settembre autorizza il MEF a cedere una parte della propria partecipazione, garantendo comunque che almeno il 51% del capitale resti in mano pubblica. Sul mercato potrebbe finire fino al 15% delle azioni, il cui valore, ai prezzi attuali di Borsa, si aggirerebbe intorno ai 2,5 miliardi.

Il piano ideato dal direttore generale Marcello Sala mirava a destinare la maggioranza delle quote ai dipendenti di Poste Italiane e ai piccoli risparmiatori, prevedendo anche incentivi come sconti sui titoli. Una parte minore era pensata per i grandi fondi d’investimento, puntando a coinvolgere prevalentemente investitori retail. Tuttavia, questo approccio ha suscitato preoccupazioni legate al mantenimento dell’“italianità” del gruppo. La premier Giorgia Meloni è stata chiara in proposito, affermando: «Poste Italiane rimarrà in mani italiane, non svendiamo i gioielli di famiglia», ribadendo il rischio percepito di un eventuale controllo estero. Questa preoccupazione, sebbene centrale per il governo, non trova del tutto d’accordo il management di Poste, il quale considererebbe garantita la stabilità della gestione anche con una maggiore apertura agli investitori istituzionali.

 

Il ruolo delle fondazioni bancarie e le interlocuzioni in corso

Nel disegno della cessione era prevista una quota specifica, stimata attorno ai 300 milioni di euro, da destinare alle fondazioni bancarie. I dirigenti del MEF hanno già avviato contatti con Fondazione Cariplo (che dovrebbe ricevere la parte più consistente), Fondazione CRT, Cassa di Risparmio di Cuneo, Cassa di Risparmio di Firenze e Cassa di Risparmio di Lucca. Quest’ultima fondazione è già azionista di Poste e si è detta disposta ad aumentare la propria partecipazione, a patto di poter prima cedere alcune azioni e poi ricomprarle in una fase successiva, secondo la più recente offerta. Le fondazioni hanno mostrato interesse per la proposta, anche in considerazione dei rendimenti garantiti, stimati tra il 5 e il 7%, e delle cedole sostanziose. Un’opzione sul tavolo prevede che il MEF possa rivedere l’assetto iniziale, riservando una quota più ampia alle fondazioni e ampliando la partecipazione agli istituzionali.

Tempi e ostacoli: incasso, bilancio e finestra di mercato

L’operazione, intanto, procede a rilento anche a causa delle complessità legate alla manovra di bilancio e all’incasso atteso dal concordato preventivo biennale, il cui termine è fissato per la fine del mese. L’obiettivo è incassare almeno 2 miliardi di euro, da destinare interamente alla legge di bilancio. Poste Italiane presenterà i propri conti il 6 novembre e pagherà il dividendo il 18 novembre. Se il MEF decidesse di accelerare i tempi, la finestra utile per collocare le azioni potrebbe aprirsi tra il 20 novembre e la prima decade di dicembre, rappresentando l’ultimo slot disponibile dell’anno. Tuttavia, i ritardi accumulati e le tempistiche stringenti portano ormai molti a considerare inevitabile uno slittamento.

Connessioni con il dossier MPS

L’operazione di Poste si intreccia solo in parte con la nuova tranche di MPS, il cui collocamento è previsto per novembre. Sebbene vi sia un interesse da parte di investitori internazionali, questi ultimi potrebbero coincidere solo in misura limitata con i potenziali acquirenti di Poste. Per Siena, infatti, oltre agli investitori internazionali che hanno già dimostrato un forte interesse, si parla anche di un’eventuale cordata italiana: il patron di Banca Finint, Enrico Marchi, sta lavorando insieme al gruppo Unipol a un’iniziativa per rilevare circa il 10% della banca toscana.

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