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Pa a orologeria: un terzo in pensione entro dieci anni

- di: Vittorio Massi
 
Pa a orologeria: un terzo in pensione entro dieci anni
Pa a orologeria: un terzo in pensione entro dieci anni
La macchina pubblica ha fretta di cambiare guida: la fascia 55-59 anni è ormai la più affollata, gli organici crescono ma non ringiovaniscono alla stessa velocità. Senza una svolta su assunzioni, formazione e salari, il rischio è un vuoto di competenze strategiche.

La fotografia è netta: quasi otto dipendenti pubblici su dieci hanno più di quarant’anni e, proiettando i flussi di uscita, entro il 2035 circa un terzo della Pa sarà in pensione. Nel 2024 i lavoratori pubblici con almeno una giornata retribuita superano i 3,7 milioni (+1,5% sull’anno precedente). A tenere in piedi lo Stato sono soprattutto scuola e sanità, che insieme sommano circa il 60% del totale; seguono enti territoriali e forze di sicurezza.

Età e retribuzioni: dove si apre la forbice

Il salario medio annuo si aggira attorno a 35 mila euro, ma la forbice è ampia: università ed enti di ricerca sfiorano i 55 mila euro, la scuola scende verso i 30 mila. La progressione cresce con l’età e tende a stabilizzarsi dopo i 50 anni. Il divario di genere resta marcato: oltre 41 mila per gli uomini contro quasi 31.700 per le donne, anche per il maggior ricorso al part-time.

Nord, Centro, Sud: le crepe nei salari

La geografia dei compensi sorprende: al Centro si toccano medi di circa 37 mila euro, mentre Nord-Ovest e Nord-Est oscillano tra 34 e 34,5 mila. Pesano la concentrazione di amministrazioni centrali, il mix di profili e gli andamenti locali della contrattazione.

Ricambio generazionale: segnali, non una svolta

Dopo anni di blocco del turnover, le assunzioni sono ripartite ma non bastano a invertire la piramide. Gli ultracinquantenni restano maggioranza assoluta. Nei ministeri, la quota di under 35 è ancora troppo bassa per garantire una staffetta ordinata.

Contratti: la firma sui dirigenti locali

L’ipotesi di rinnovo 2022-2024 per la dirigenza delle funzioni locali riconosce +444 euro medi mensili per tredici mensilità a circa 13 mila dirigenti. “Abbiamo chiuso in tempi molto contenuti”, afferma Paolo Zangrillo, annunciando il varo della stagione 2025-2027. “Risultato significativo: ora accelerare sul nuovo tavolo”, incalza Daniela Fumarola.

Scuola e sanità reggono l’urto

La scuola è il comparto più numeroso ma anche quello con le retribuzioni medie più basse: una fragilità che tocca direttamente qualità didattica e capacità di attrarre talenti. Nella sanità, dopo il picco di assunzioni post-pandemia, l’età media si è leggermente ridotta, ma l’onda pensionistica è tutt’altro che esaurita.

L’onda demografica

Fuori dagli uffici pubblici, l’Italia invecchia e fa meno figli. Nascite ai minimi e fertilità molto bassa impongono una programmazione seria delle competenze nella Pa, proprio mentre crescono i bisogni di sanità, assistenza e servizi locali.

Le mosse possibili

  • Programmare le uscite per comparto e territorio, con concorsi annuali e assunzioni rapide.
  • Aprire canali veloci per profili digitali, tecnici e sanitari, con salari d’ingresso competitivi.
  • Formazione obbligatoria e portabile (almeno 40 ore annue) collegata alla progressione economica.
  • Mobilità semplificata tra amministrazioni e premi su obiettivi misurabili.
  • Piano parità retributiva per ridurre il gender pay gap, agendo su part-time involontario e contratti dei giovani.

La posta in gioco è evitare il vuoto di competenze nei prossimi dieci anni. Pagare meglio, assumere prima, formare sempre: è così che la Pa passa dall’emergenza demografica alla manutenzione ordinaria dello Stato.

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