Crisi politica a Parigi, instabilità economica e proteste: un test per l’Unione europea.
(Foto: il presidente francese Emmanuel Macron con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen).
La Francia instabile e l’Europa in attesa
Parigi è nuovamente in tumulto. Il governo ha perso la bussola parlamentare e il Paese si ritrova senza una guida stabile nel momento meno opportuno. È il quarto esecutivo a cadere in un arco temporale ridottissimo, segno che le fratture politiche si sono trasformate in un fattore strutturale. I mercati hanno reagito con nervosismo, i rendimenti si muovono al rialzo e lo spread con Berlino si è allargato: non solo un termometro finanziario, ma un avviso sulla credibilità complessiva.
La crisi francese non resta a Parigi: l’Unione europea ha bisogno di un partner solido per reggere la pressione di un mondo in rapido riassetto. Senza una Francia in grado di decidere, l’Ue rischia di perdere tempi e opportunità nella gestione dei dossier più sensibili.
Una sfida europea: quando Macron scivola
Il malessere interno all’Eliseo proietta ombre oltreconfine. Dalla guerra in Ucraina alle relazioni con i grandi attori globali, fino alle questioni commerciali e industriali, il peso diplomatico francese serve per tenere insieme un campo europeo spesso diviso. Quando l’arbitro è distratto, la partita si complica. E qui la distrazione non è volontaria: è figlia di debolezza parlamentare, di un’opinione pubblica impaziente, di coalizioni difficili da costruire e ancora più difficili da mantenere.
Nonostante divergenze tattiche tra le capitali, il sostegno a Kiev non ha mostrato cedimenti. Ma quello che regge oggi può incrinarsi domani se l’inerzia politica francese rallenta decisioni, investimenti comuni, politiche industriali europee e scelte energetiche condivise. L’Europa può permettersi un inciampo francese? La risposta, per chi guarda al medio periodo, è no.
Le cifre che pesano sul bilancio
Il quadro macro è gravoso: deficit sopra il 5% del PIL, debito superiore ai 3.300 miliardi, spesa pubblica rigida e crescita anemica. Con questi numeri, ogni agenda di rientro rischia di essere economicamente dolorosa e politicamente esplosiva. Senza una maggioranza solida, persino misure graduali vengono percepite come imposizioni e trasformano la correzione dei conti in una guerra di logoramento.
La logica dei mercati è semplice: quando la politica è instabile, il premio al rischio sale. Ed è quello che sta avvenendo. Il risultato è un circuito vizioso: più incertezza, più costo del debito; più costo del debito, meno margini per politiche espansive o investimenti strategici; meno investimenti, minore crescita potenziale.
Proteste, fratture politiche e leadership a rischio
La temperatura sociale è alta. Le proteste minacciano blocchi e paralisi, mentre in Parlamento le opposizioni, divise su quasi tutto, si ritrovano spesso unite su un punto: logorare l’Eliseo. Tra ultradestra e sinistra radicale non c’è un progetto alternativo condiviso, ma c’è una strategia di interdizione che rende ogni passaggio parlamentare un campo minato.
In questo clima, la leadership di Emmanuel Macron ne esce appannata. La sua immagine internazionale, costruita su iniziativa e ambizione, soffre quando la priorità diventa “sopravvivere” all’aritmetica parlamentare. Più il presidente è assorbito da questioni interne, meno è incisivo nel tenere insieme l’Europa sulle scelte di sicurezza, energia, industria e transizione tecnologica.
L’Europa non può aspettare
Se c’è un punto fermo, è questo: l’Europa ha bisogno di una Francia forte. Non per egemonia, ma per equilibrio. Senza Parigi in grado di decidere e di convincere, il progetto europeo rischia di procedere a strappi, perdendo la capacità di risposta in una fase in cui la velocità è tutto. La finestra per ricostruire una maggioranza, stabilizzare i conti e rimettere in moto l’iniziativa politica è stretta. Ma è anche l’unica percorribile se l’Ue vuole restare, e non solo sembrare, un attore capace di scelte comuni e tempestive.