Crisi di Governo: il tempo corre e Conte deve sbrigarsi
- di: Diego Minuti
La sabbia nella clessidra che segna il tempo del governo Conte scivola forse molto più velocemente di quello che il presidente del Consiglio sperava. Perché, con il passare del giorni, addirittura delle ore, il premier vede sempre minori spazi di manovra e, quindi, l'urgenza di sciogliere in fretta i nodi della manovra per aumentare il peso numerico della maggioranza. Ma la situazione appare abbastanza definita e, per rimescolare le carte, Conte deve avere la capacità di trovare un'architettura di governo diversa da quella attuale e, quindi, dare a tutti coloro che lo aiuteranno "piccole soddisfazioni". Insomma, siamo arrivati al punto della distribuzione di caramelle e liquirizie a chi, sotto definizioni diverse, accetterà di sedersi al tavolo del governo.
Non è un'analisi volutamente brutale ed offensiva, ma la rappresentazione della realtà. Di una realtà politica dove non si fa nulla per nulla. Conte sta letteralmente raschiando il fondo del barile tra i potenzialmente scontenti in Parlamento, ma non è facile, anche se per moltissimi incombe lo spettro dello scioglimento delle Camere e delle difficoltà per ottenere una ricandidatura e la rielezione.
Ma non è che all'opposizione si stia meglio. Forza Italia è ormai una entità indistinta, aperta alle defezioni, ma soprattutto senza una guida degna di tale nome. Ormai a parlare in nome del partito, oltre alle solite note (Gelmini e Bernini, capigruppo in Parlamento), sono rimasti Antonio Tajani, sempre un passo indietro gli altri capataz dell'opposizione, e Giorgio Mulé, che deve fare i salti mortali per accreditare Forza Italia come un partito.
Ma, come sempre, le responsabilità stanno a monte. Silvio Berlusconi sta facendo mancare, al suo partito, la presenza fisica che oggi sarebbe necessaria anche per contrastare l'evidente disparità mediatica con Lega e Fratelli d'Italia. E poco serve, ammettiamolo, che le sue televisioni lo supportino se lui continuerà a stare lontano, a non essere quel punto di riferimento quotidiano che era ai bei tempi. Salvini oggi è la Lega, ma non è automatico che la Lega sia Salvini perché dietro l'unanimismo che il partito mostra potrebbero essere in atto ridefinizioni di equilibri, anche sul ruolo che esso deve avere in Europa, dove le scelte sono state quasi sistematicamente sbagliate, sia in termini di strategie che di alleanze. Matteo Salvini non perde occasione per candidarsi alla guida del centrodestra, ma non è ancora riuscito a cancellare, nella memoria collettiva, l'orrenda immagine di un aspirante statista in costume da bagno e bicchiere in mano, a muoversi al suono dell'inno nazionale in versione disco.
Il Salvini-statista manca ancora all'appello e la sua consacrazione non passa per sciorinare, come fa sempre, le cose che non vanno; dovrebbe invece parlare dei suoi veri progetti, quelli ai quali vuole dare applicazione una volta completata la ricorsa a Palazzo Chigi. Che abbia seguito nessuno lo nega, ma se deve guadagnarsi l'attenzione (non il rispetto, che è altra cosa) dei suoi avversari la deve smettere di abbaiare alla luna e mostrare ciò di cui è capace. Discorso opposto per Giorgia Meloni che, a differenza di Salvini, ha alle spalle vecchie volpi del gioco parlamentare che almeno possono suggerire. Ma lei ama alzare il tono e questo non sempre accredita le cose che dice. Come quando si innamora di qualcosa (come il blocco navale con cui cinturare le coste libiche) che però è inattuabile. Ma guai a dirglielo, comincerebbe a gridare.