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Nomadismo digitale: evoluzione o declino nell'era del ritorno in ufficio?

- di: Giulia Caiola
 
Nomadismo digitale: evoluzione o declino nell'era del ritorno in ufficio?

Negli ultimi anni, il fenomeno del nomadismo digitale ha subito una trasformazione significativa. Durante la pandemia, il lavoro da remoto è diventato la norma, spingendo molti professionisti a sperimentare uno stile di vita itinerante, lavorando da località esotiche o città d’arte. Tuttavia, con la progressiva ripresa delle attività e la spinta di molte aziende verso il "Return to Office" (RTO), ci si interroga sul futuro di questo modello lavorativo: si sta dissolvendo o sta semplicemente cambiando forma?

Nomadismo digitale: evoluzione o declino nell'era del ritorno in ufficio?

Prima della pandemia, il nomadismo digitale era un fenomeno di nicchia, diffuso prevalentemente tra freelance e professionisti del settore tecnologico. La necessità di distanziamento sociale e la conseguente accelerazione dell’adozione del lavoro da remoto hanno reso possibile per molti lavorare da qualsiasi luogo con una connessione internet stabile. Questa flessibilità ha portato a un aumento esponenziale del numero di lavoratori che si definiscono nomadi digitali.

Secondo i dati riportati da Ninja Marketing, il numero di nomadi digitali negli Stati Uniti è cresciuto del 131% rispetto ai livelli pre-pandemia, con una media di spesa annua pro capite di circa 36.000 dollari per soggiorni, coworking e servizi. Parallelamente, molte destinazioni hanno cercato di capitalizzare su questa tendenza, offrendo incentivi, visti speciali e facilitazioni per attirare questa nuova categoria di lavoratori.

Paesi come il Portogallo, la Thailandia e il Messico sono diventati mete privilegiate, con città come Lisbona, Bali e Città del Messico trasformatesi in veri e propri hub per i nomadi digitali. L’idea era semplice: questi professionisti, pagati con stipendi occidentali, avrebbero speso nelle economie locali, contribuendo alla crescita di settori come l’ospitalità, il turismo e la ristorazione. Ma il sogno si è rivelato meno roseo del previsto.

Impatto sulle economie locali e gentrificazione
Se da un lato il nomadismo digitale ha portato nuove opportunità per molte città, dall’altro ha generato non pochi problemi. L’afflusso di lavoratori con redditi mediamente più alti rispetto ai residenti ha spinto verso l’alto il costo della vita, in particolare il prezzo degli affitti.

Un caso emblematico è Medellín, in Colombia, dove il fenomeno ha innescato un aumento del costo degli affitti fino al 30% in alcune zone. La crescente domanda di spazi in affitto a breve termine, alimentata dalle piattaforme come Airbnb, ha spinto molti proprietari a convertire appartamenti destinati ai residenti in alloggi per nomadi digitali, rendendo sempre più difficile per la popolazione locale trovare case a prezzi accessibili. A Città del Messico, le proteste contro la gentrificazione si sono moltiplicate, con manifestazioni e campagne di sensibilizzazione per proteggere i diritti dei residenti.

Anche in Europa si sono verificati effetti simili. A Lisbona, il governo ha dovuto intervenire con misure per contenere l’impatto del boom immobiliare causato dai lavoratori da remoto internazionali, imponendo restrizioni sugli affitti brevi e incentivando soluzioni per i residenti locali. Allo stesso modo, Barcellona ha imposto limitazioni sulle licenze per gli affitti turistici, nel tentativo di riequilibrare la situazione.

Il ritorno in ufficio e il cambiamento delle politiche aziendali

Mentre il nomadismo digitale cresceva rapidamente, molte aziende hanno iniziato a riconsiderare il proprio approccio al lavoro remoto. Se nel 2020 e 2021 la flessibilità era vista come una necessità, oggi molte imprese stanno spingendo per un ritorno in ufficio.

Colossi come Amazon, Google e Meta hanno annunciato piani per il rientro parziale o totale in sede entro il 2025, sostenendo che la collaborazione in presenza migliori la produttività e l’innovazione. Secondo un sondaggio condotto da Forbes, il 60% dei dirigenti aziendali ritiene che il lavoro remoto riduca l’efficienza e ostacoli la cultura aziendale.

Questa inversione di tendenza sta mettendo in difficoltà i lavoratori che avevano abbracciato il nomadismo digitale, costringendoli a riconsiderare le proprie scelte di vita. Molti si trovano ora di fronte a un bivio: tornare in ufficio o cercare alternative lavorative che permettano di mantenere lo stile di vita itinerante.

Dove sta andando il nomadismo digitale?
Nonostante le pressioni per il ritorno in ufficio, il nomadismo digitale non sembra destinato a scomparire del tutto. Il fenomeno sta piuttosto subendo un’evoluzione. Alcuni paesi stanno adattando le proprie politiche per rendere il nomadismo più sostenibile, promuovendo visti di lungo termine e regolamentando gli affitti per evitare la gentrificazione incontrollata.

Un esempio interessante è la Croazia, che ha introdotto un visto per nomadi digitali con validità di un anno, incoraggiando una permanenza più prolungata anziché un turismo mordi e fuggi. L’Estonia è stata una delle prime nazioni europee a regolamentare il fenomeno con un visto dedicato già nel 2020, e il suo modello è stato adottato anche da Malta, Spagna e Grecia.

Parallelamente, stanno emergendo nuovi trend nel mondo del lavoro, con una crescita del lavoro ibrido, che combina la presenza in ufficio con la possibilità di lavorare da remoto per periodi prolungati. Alcune aziende stanno adottando politiche di "workation" (work + vacation), che consentono ai dipendenti di lavorare temporaneamente da destinazioni diverse senza perdere il legame con la sede principale.

Anche il concetto stesso di nomadismo digitale sta cambiando. Mentre la fase iniziale era caratterizzata da spostamenti frequenti e permanenze brevi, oggi sempre più professionisti preferiscono stabilirsi in un luogo per sei mesi o un anno, evitando il continuo spostamento e cercando una maggiore integrazione con la comunità locale.

Un’altra tendenza emergente è quella dei villaggi per nomadi digitali, comunità pensate per chi lavora da remoto e desidera condividere spazi e esperienze con persone simili. Progetti di questo tipo stanno nascendo in paesi come Spagna, Portogallo, Indonesia e Thailandia, con infrastrutture pensate appositamente per chi lavora online.

Quello che sembra certo è che il nomadismo digitale, così come è stato raccontato durante il boom pandemico, sta cambiando forma. Il periodo dell’euforia incondizionata è terminato, ma la richiesta di flessibilità lavorativa e la possibilità di vivere in modo indipendente dalle sedi aziendali rimangono esigenze reali per molti professionisti. Resta da vedere quali paesi, aziende e lavoratori sapranno adattarsi meglio a questa nuova fase.

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