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Netanyahu chiude la porta ai negoziati: “Gli ostaggi torneranno solo con la vittoria”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Netanyahu chiude la porta ai negoziati: “Gli ostaggi torneranno solo con la vittoria”

Benjamin Netanyahu alza nuovamente il tono e segna la direzione della politica israeliana: la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas non passerà attraverso una trattativa, ma sarà il frutto di una vittoria militare. “Il tempo dei negoziati è finito – ha scandito – Hamas non ha mai avuto interesse a un accordo, l’unico linguaggio che conoscono è quello della forza”. Una dichiarazione che chiude la porta a mesi di tentativi diplomatici e rimette al centro la logica dello scontro armato.

Netanyahu chiude la porta ai negoziati: “Gli ostaggi torneranno solo con la vittoria”

Secondo i dati diffusi dalle autorità israeliane, sono ancora circa 50 gli ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza, tra civili e militari. Tel Aviv ha chiesto una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per riportare la questione all’attenzione della comunità internazionale. “Ogni giorno che passa – ha affermato un portavoce governativo – è un giorno di sofferenza in più per le famiglie e un segnale di arroganza da parte di Hamas”. L’idea, confermata dalle fonti diplomatiche, è che Israele intenda usare il peso dell’Onu come piattaforma per rafforzare la legittimazione delle proprie operazioni.

L’eco delle parole di Trump

Nelle stesse ore, Donald Trump ha fatto sapere di “non aver visto prove di genocidio” a Gaza. Una frase destinata a sollevare discussioni, soprattutto nel contesto di un conflitto che ha già causato migliaia di vittime civili e distruzioni diffuse. Secondo il presidente americano, le accuse rivolte allo Stato ebraico rientrano in una “narrativa” che non trova riscontro nei dati verificabili. Una posizione che rafforza, almeno sul piano politico, la linea di Netanyahu e riduce lo spazio per pressioni esterne sugli equilibri militari.

Hamas e la logica della guerra
Sul fronte opposto, Hamas non arretra e continua a presentarsi come l’unico difensore dei palestinesi sotto assedio. I portavoce del movimento ribadiscono che la resistenza non si fermerà e che gli ostaggi rappresentano “un’arma di negoziato” che Israele non potrà ignorare. La decisione di Netanyahu, però, sembra voler spezzare proprio questa logica: eliminare lo strumento di pressione attraverso l’avanzata militare, puntando a privare Hamas della possibilità di ottenere concessioni.

Pressioni interne e opinione pubblica
La scelta del premier risponde anche a una pressione interna crescente. In Israele, le famiglie degli ostaggi vivono da mesi una situazione di angoscia e chiedono un intervento risolutivo. Molti parenti temono che la via militare possa mettere a rischio la vita dei loro cari, ma la maggioranza dell’opinione pubblica appare disillusa sulla possibilità che Hamas rilasci spontaneamente i prigionieri. Netanyahu cavalca questa percezione, presentandosi come il leader capace di garantire sicurezza e fermezza.

Il ruolo della comunità internazionale
La richiesta di Israele di convocare il Consiglio di Sicurezza Onu arriva in un momento delicato. Le cancellerie occidentali oscillano tra la necessità di sostenere lo Stato ebraico e l’esigenza di non aggravare ulteriormente la crisi umanitaria nella Striscia. I diplomatici europei spingono per una tregua temporanea che permetta corridoi umanitari, ma la posizione di Netanyahu sembra ridurre drasticamente lo spazio per compromessi.

Una prospettiva incerta
La prospettiva che si delinea è quella di un conflitto ancora lungo, dove gli ostaggi rischiano di restare al centro di un braccio di ferro senza soluzione rapida. L’appoggio implicito degli Stati Uniti, espresso nelle parole di Trump, offre a Netanyahu margini per proseguire sulla via militare. Per la popolazione di Gaza, invece, ciò significa prepararsi a nuovi giorni di bombardamenti e assedi. In un quadro segnato dalla sfiducia reciproca, la possibilità di una mediazione appare sempre più lontana.

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