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La NATO verso l’intesa sul 5% di spesa militare: “La Russia è una minaccia per tutti”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
La NATO verso l’intesa sul 5% di spesa militare: “La Russia è una minaccia per tutti”

Il vertice della NATO in corso all’Aja si sta delineando come uno dei più significativi degli ultimi anni per l’architettura della sicurezza europea. Al centro del confronto tra i leader dell’Alleanza c’è una proposta che rappresenta un deciso cambio di paradigma: portare le spese militari dei Paesi membri al 5% del PIL entro il 2035. Una soglia che segna un salto netto rispetto all’attuale obiettivo del 2%, fissato nel 2014 dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia e finora mai pienamente raggiunto da molti Stati europei.

La NATO verso l’intesa sul 5% di spesa militare: “La Russia è una minaccia per tutti”

La proposta, che sembra destinata a ottenere un consenso ampio, nasce dalla crescente convinzione che la difesa non possa più essere delegata a un futuro indefinito o sostenuta in maniera marginale. “Il maggiore impegno dell’Ue nella Nato non è un favore a qualcuno, ma nasce dalla convinzione che ci si debba impegnare di più nei prossimi anni per garantire la capacità di difesa”, ha dichiarato il cancelliere tedesco Friedrich Merz, lasciando intendere che la Germania, tradizionalmente prudente su questi temi, è pronta a fare la sua parte.

Il segretario Rutte: “Servono scelte dure, ma necessarie”


A fare eco alle parole di Merz è stato il segretario generale della NATO, Mark Rutte, che ha messo in chiaro quanto sarà difficile ma inevitabile per i governi europei trovare le risorse. “I politici devono trovare i soldi. Non è facile, ma sono certo che ci arriveremo”, ha detto, sottolineando che l’aumento della spesa militare non può essere derubricato a una mera questione tecnica o contabile. È una scelta politica, e come tale esige visione, coraggio e, soprattutto, consenso.

Rutte ha parlato di “decisioni dure”, evocando probabilmente i sacrifici che i singoli governi dovranno chiedere ai propri cittadini, in un contesto economico ancora segnato da inflazione e tagli alla spesa pubblica. Eppure, la sua insistenza sul fatto che queste scelte siano “necessarie” rivela una percezione condivisa: l’Europa non può più dipendere esclusivamente dalla protezione americana, soprattutto in un mondo multipolare dove il rischio di nuove guerre convenzionali è tornato a essere concreto.

La minaccia russa e il ripensamento strategico


La chiave di volta di questa accelerazione è rappresentata dal nuovo ruolo assegnato alla Russia all’interno della narrativa dell’Alleanza. Non più soltanto una minaccia per l’Ucraina, ma per “la pace e l’intero ordine politico del nostro continente”, come ha detto lo stesso Merz. Una frase che sintetizza la trasformazione in corso: non siamo più nel campo dell’eccezione, dell’incidente o della deviazione. L’aggressività russa viene ormai considerata un dato strutturale, un rischio sistemico contro cui occorre attrezzarsi sul lungo periodo.

Non si tratta solo della guerra in Ucraina, che continua a logorare la stabilità ai confini orientali dell’Europa, ma di un insieme di segnali più ampi: disinformazione, attacchi cyber, destabilizzazione economica. In questo contesto, il 5% del PIL non è solo un tetto quantitativo, ma l’indicatore di una trasformazione profonda della postura strategica dei Paesi europei, chiamati a diventare non più partner passivi, ma soggetti attivi nella costruzione della sicurezza collettiva.

Le implicazioni per l’Italia e il dibattito interno


L’Italia, da sempre tra i membri fondatori della NATO, sarà chiamata a un adeguamento che potrebbe rivelarsi particolarmente impegnativo. Attualmente, la spesa militare si attesta intorno all’1,5% del PIL, e raggiungere il 5% in dieci anni significherà più che triplicarla. Le implicazioni sono molteplici: bilancio statale, priorità economiche, rapporti con l’opinione pubblica. E, inevitabilmente, la politica italiana dovrà interrogarsi sul significato di questo cambio di rotta.

Le reazioni dei partiti sono ancora contenute, ma è evidente che un simile piano avrà un impatto notevole sulle scelte future, tanto a livello di politiche industriali quanto di relazioni internazionali. Dovrà essere rinegoziato il ruolo delle aziende italiane della difesa, verranno probabilmente rilanciati programmi di cooperazione militare e, soprattutto, si porrà la questione della trasparenza e del controllo democratico su un aumento tanto rilevante delle risorse per le armi.

Il futuro della NATO tra vincoli e volontà politica

Il vertice dell’Aja potrebbe quindi rappresentare una svolta non solo operativa ma anche simbolica. Il passaggio dal 2% al 5% è anche una dichiarazione d’intenti, un messaggio inviato alla Russia ma anche a se stessi: la NATO non è più soltanto un’alleanza difensiva legata al passato, ma vuole diventare il pilastro centrale del nuovo ordine internazionale che sta emergendo nel caos globale.

A farne le spese potrebbero essere le priorità sociali e ambientali, se non si riuscirà a bilanciare la nuova postura militare con una visione politica ampia e lungimirante. Il rischio è che l’aumento della spesa militare diventi un fine in sé, invece che uno strumento per garantire pace e stabilità. Ma per ora, la direzione è tracciata: più investimenti, più deterrenza, più integrazione.

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