Pressioni dai dazi di Trump, crolli in Borsa e addio di Donatella Versace: l’acquisizione diventa una sfida sistemica per il lusso italiano.
(Foto: Miuccia Prada e Fabrizio Bertelli)
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Il conto alla rovescia è agli sgoccioli. Le trattative tra Prada e Capri Holdings per l’acquisizione di Versace stanno vivendo le ore decisive tra scossoni di mercato, incognite geopolitiche e tensioni creative. Il dossier, che potrebbe segnare il ritorno in mani italiane di uno dei marchi più iconici della moda mondiale, pende ora su un equilibrio sottile: il prezzo.
Secondo fonti del Wall Street le possibilità che l’accordo si concretizzi sono scese al 50%. La causa? L’onda lunga della guerra commerciale scatenata da Donald Trump, che ha innescato una fuga dagli asset del lusso e ridotto il potere negoziale di Capri Holdings, in cerca di ossigeno finanziario. Il Financial Times conferma: l’intesa potrebbe chiudersi a 1,38 miliardi di dollari, ben lontano dagli 1,6 miliardi inizialmente chiesti dal gruppo americano. Un taglio secco da 200 milioni che testimonia quanto il vento stia cambiando.
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Uno sconto che brucia
L’umiliazione per Capri Holdings, guidata da John Idol, sarebbe pesante: nel 2018 il gruppo aveva rilevato Versace dalla famiglia fondatrice per 2,1 miliardi di dollari, scommettendo su una crescita muscolare in stile americano. Ma la realtà ha frenato ogni ambizione. Versace non è mai riuscita ad agganciare i numeri di Gucci o Dior, e ora il gruppo americano rischia di doverla cedere a una cifra inferiore al prezzo d’acquisto. Idol arebbe a Milano proprio per cercare di salvare la faccia su un’operazione che, nelle sue speranze, doveva fare scuola. Invece, rischia di diventare un caso.
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Il segnale Donatella
Nel frattempo, il mese scorso Donatella Versace ha lasciato la direzione creativa della maison dopo oltre trent’anni. Un passaggio epocale che ha suscitato emozione, ma anche speculazioni. La sua uscita è stata letta da analisti e addetti ai lavori come un chiaro segnale che il matrimonio con Prada era vicino. Al suo posto è arrivato Dario Vitale, direttore del design di Miu Miu, marchio satellite del gruppo Prada. Una mossa strategica, che testimonia la volontà di Prada di preparare la “fusione” anche sul piano dello stile.
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La tempesta dei mercati
C’è però un ostacolo imprevisto: Hong Kong. Prada è quotata sul listino asiatico, e proprio lì si gioca la partita finale. Nella giornata di ieri il titolo ha perso l’1,19%, complice la nuova impennata dei dazi USA e i segnali di rallentamento della domanda cinese di beni di lusso. La scadenza simbolica delle trattative è fissata per le 10 del mattino (ora italiana) di oggi quando chiuderà la Borsa di Hong Kong. Fino ad allora, tutto può ancora succedere.
Capri, dal canto suo, ha visto il proprio titolo guadagnare oltre l’8% a Wall Street, segno che il mercato scommette sull’accordo come ultima ancora di salvezza per un gruppo in difficoltà. Ma il rischio è che il rally sia solo speculativo, e che un eventuale fallimento delle trattative possa innescare un tracollo.
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Un ritorno italiano che pesa politicamente
Oltre all’aspetto industriale, la partita ha anche un valore simbolico e geopolitico. Se l’operazione dovesse andare in porto, Prada riporterebbe sotto controllo italiano un marchio storico come Versace, ribaltando la tendenza degli ultimi anni che ha visto sfilare all’estero Gucci (Kering), Fendi (LVMH), Bottega Veneta (Kering), Bulgari (LVMH) e altri nomi iconici del Made in Italy.
La notizia è guardata con interesse anche da Palazzo Chigi e dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, che vedono nell’operazione un segnale di rilancio dell’autonomia industriale nazionale nel settore della moda, in un momento in cui le pressioni internazionali sul commercio si fanno sempre più aggressive.
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L’obiettivo Prada: diventare un colosso da 10 miliardi
Per Prada, guidata da Andrea Guerra e Patrizio Bertelli, l’acquisizione sarebbe il tassello decisivo di una strategia volta a consolidare la propria posizione tra i grandi conglomerati del lusso. Dopo i successi di Miu Miu, la trasformazione green del marchio madre e il recente rafforzamento del retail asiatico, Versace darebbe al gruppo un boost immediato in termini di appeal internazionale e fatturato.
Nel 2024 Prada ha chiuso con ricavi per 4,7 miliardi di euro. L’obiettivo – non dichiarato ma evidente – è superare la soglia psicologica dei 10 miliardi entro cinque anni, anche grazie a nuove acquisizioni. Versace, con le sue potenzialità ancora inespresse, potrebbe essere la chiave di volta.
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Tutto si decide nelle prossime 24 ore
Il destino di Versace, e forse anche quello del lusso italiano, si decide in queste ore. Tra veti incrociati, logiche di mercato e pressioni politiche, la firma (o la rottura) potrebbe scrivere una nuova pagina nella storia della moda. Se Prada riuscirà a chiudere il deal, sarà una vittoria strategica. Se l’accordo salterà, resterà l’amara sensazione di un’occasione mancata.