Trenta miliardi per una manovra che comporta un aumento del deficit

- di: Redazione
 
Una manovra che, nel suo insieme, dovrebbe mettere in circolo circa trenta miliardi avendo, come obiettivi primari, il taglio del cuneo fiscale e la riduzione del carico fiscale per persone e famiglie a basso reddito, la riforma fiscale e un ''tesoro'' da mettere a disposizione per il rinnovo dei contratti di lavoro per il pubblico impiego, che da tempo languono, portando alcuni comparti ad un punto di rottura nella consapevolezza di non potere più fronteggiare, stante l'attuale trattamento economico, un costo della vita sempre più alto.
Il Consiglio dei ministri ha chiarito quali sono le linee base della manovra, anche se forse sarebbe più esatto dire che ha indicato i paletti che essa si è posta per potere essere efficace e quindi credibile. Anche perché la situazione di cassa odierna impone che, per fare fronte alla manovra, e quindi recuperare i relativi finanziamenti, occorrerà aumentare l'indebitamento per il 2024, passando dal 3,6% tendenziale al 4,3 %.
Che, tradotto in cifre, vuole dire che questo scostamento mette a disposizione 14 miliardi, seppure in deficit. Complessivamente, quindi, la manovra, con i vari movimenti contabili, metterà sul tavolo 30 miliardi. Che non sono un ammontare residuale, a patto che tutti, a cominciare dai ministri, comprendano che la situazione è delicata e che non possono lanciarsi in richieste indecenti per alimentare i loro dicasteri, in funzione ''para-elettorale''.

Trenta miliardi per una manovra che comporta un aumento del deficit

Affinché questo obiettivo (riportare i ministri alla ''ragionevolezza'') sia raggiunto, occorre che essi accolgano convintamente l'appello di Giorgia Meloni a contribuire a fermare la deriva del passato, quando le ''uscite'' non erano sempre finalizzate all'interesse pubblico, e quindi adoperarsi per spendere ragionevolmente, ma soprattutto aiutare quelle fasce della popolazione in difficoltà. Anche con misure che creino migliori condizioni per i giovani, come la garanzia statale fino all’80% sui mutui per l’acquisto della prima casa.

Come sempre gli è toccato fare, negli ultimi mesi, quando il suo ministero è diventato un fortino, al cui assalto muovono i suoi colleghi, Giancarlo Giorgetti ha lanciato l'ennesimo appello alla concretezza, in considerazione delle disponibilità attuali, conseguenza delle scelte del passato.
A cominciare dal Superbonus che si sta dimostrando (checché ne dicano i Cinque Stelle celebrandone il successo) una pesantissima ipoteca per il futuro. Che si traduce in un appesantimento del deficit per il 2023 di un punto, quindi raggiungendo il 5,3% del Prodotto interno lordo, ma soprattutto gravando il debito dei prossimi quattro anni di venti miliardi per ciascun anno. Un mix micidiale cui contribuiscono le scelte della Banca Centrale Europea, che da oltre un anno aumenta i tassi di interesse per contrastare l'inflazione, con il risultato che la manovra del prossimo anno partirà con un handicap di 15 miliardi di euro.
La situazione, comunque, ha detto Giorgetti, dovrebbe migliorare nel 2025 e nel 2026, con il deficit che dovrebbe scendere al 3,6 e, quindi, al 2,9.

Il ministro dell'Economia ha spiegato che ''siamo sopra il 3% delle regole Ue, è vero, ma noi riteniamo che le condizioni dell’economia, in rallentamento, e la stretta monetaria, non inducano ad adottare politiche economiche pro-cicliche, se vogliamo evitare di aggravare la recessione''.
Nella ''scaletta'' temporale redatta da Giorgetti il debito pubblico scenderà quest'anno, pur se di poco, dal 140,2% al 140,1%, con una contrazione significativa nel 2026, quando dovrebbe attestarsi al 139,6%.
Un calo non molto significativo, ma con un responsabile, secondo il ministro: ''Non scenderà come auspicato. Ma occorre tener conto che 80 miliardi di crediti legati ai bonus edilizi, non previsti, si scaricheranno sul debito pubblico nei prossimi 4 anni per 20 miliardi l’anno. Senza la spesa per i bonus, il debito sarebbe sceso di un punto l’anno''.
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