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Cosa significano davvero la fine degli accordi del Cairo e la visita di Abu Mazen in Libano

- di: Giuseppe Castellini
 
Cosa significano davvero la fine degli accordi del Cairo e la visita di Abu Mazen in Libano
Fine degli accordi del Cairo = fine dell’impunità armata palestinese in Libano
Gli Accordi del Cairo del 1969, firmati tra l’OLP (allora guidata da Arafat) e il governo libanese, legalizzavano la presenza armata dei palestinesi nei campi profughi del Libano, in particolare al sud. Significava che:
I campi erano fuori dal controllo dell’esercito libanese;
Le milizie palestinesi (prima l’OLP, oggi Hamas, Jihad islamica e in parte anche Fatah) potevano armarsi e operare liberamente;
I gruppi palestinesi potevano usare il sud del Libano come base per attacchi contro Israele.
Abrogarli oggi, come sta facendo Beirut, significa che i campi torneranno sotto la piena sovranità dello Stato libanese. L’esercito potrà entrare, sequestrare armi, arrestare miliziani. È una rivoluzione per un paese storicamente diviso tra milizie e poteri paralleli.
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La visita di Abu Mazen (foto) = Fatah chiamato a fare il “lavoro sporco”
Mahmoud Abbas (Abu Mazen), presidente dell’ANP e leader di Fatah, è in rotta con Hamas, che considera un gruppo terroristico. Hamas ha guadagnato popolarità in Libano e nei Territori per il suo ruolo nella guerra contro Israele.
Beirut lo chiama perché ha ancora un’influenza nei campi palestinesi in Libano, storicamente dominati da Fatah, anche se in declino. L’obiettivo implicito:
Usare Fatah per disarmare Hamas senza che lo facciano direttamente i soldati libanesi, evitando uno scontro diretto che potrebbe scatenare una guerra civile nei campi;
Delegittimare Hamas, proprio mentre la sua popolarità cresce a causa del conflitto a Gaza;
Rilanciare l’ANP come partner rispettabile e “moderato” agli occhi di Usa, Israele e Arabia Saudita.
In breve: Abu Mazen viene usato come cavallo di Troia contro Hamas, ma questo lo rende anche più vulnerabile alle accuse di essere complice di Tel Aviv.
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Un nuovo capitolo nei rapporti Libano-Palestina-Israele = accettazione implicita di un nuovo ordine regionale
Beirut storicamente ha tollerato la presenza di milizie anti-israeliane sul suo suolo per “equilibri interni”. Ora cambia linea. Ecco cosa vuol dire concretamente:
Il Libano allinea la propria politica di sicurezza agli interessi occidentali e israeliani, spingendo fuori Hamas e isolando Hezbollah;
Israele si vede riconosciuto, di fatto, come Stato da proteggere (cosa impensabile in passato) dal lancio di razzi da sud;
La Palestina si divide ancora di più tra una ANP disposta al compromesso e una Hamas sotto pressione, persino in esilio.
È un pezzo del più ampio puzzle della “normalizzazione araba”: l’asse Usa-Israele-Arabia Saudita sta portando anche il fragile Libano sotto il proprio ombrello di influenza, in funzione anti-iraniana e anti-Hamas.
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In sintesi: cosa sta succedendo?
Il Libano ritira la licenza d’impunità ai gruppi armati palestinesi: fine dei “santuari” fuori controllo.
Abu Mazen viene chiamato a disarmare Hamas nei campi profughi, ma rischia grosso in termini di credibilità interna.
Il Libano, sostenuto da Usa, Israele e sauditi, entra in una nuova fase: più sovrano internamente, ma anche più schierato nel quadro geopolitico post-Gaza.

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