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Così nasce un’infrazione Ue: dal richiamo alla multa

- di: Bruno Coletta
 
Così nasce un’infrazione Ue: dal richiamo alla multa
Denunce, lettere riservate, giudici di Lussemburgo: cosa succede veramente quando un governo ignora le regole dell’Unione europea e perché la procedura di infrazione è diventata il vero termometro politico dello stato di salute del progetto europeo.

Ogni volta che Bruxelles parla di “procedura di infrazione”, i comunicati sembrano scritti in un linguaggio per addetti ai lavori. Eppure dietro quelle formule apparentemente neutre si gioca un pezzo di credibilità dell’Unione e, spesso, anche una fetta consistente dei conti pubblici nazionali. Non si tratta solo di tecnicismi: è il meccanismo con cui la Commissione prova a far rispettare impegni che i governi hanno già sottoscritto nei trattati e nelle direttive.

Il tema è tornato d’attualità con l’ennesimo “pacchetto infrazioni” deciso dalla Commissione a novembre 2025, che ha messo nel mirino decine di Stati per il ritardo nel recepimento di direttive chiave su energia, efficienza e diritti dei cittadini. Tra i Paesi coinvolti c’è anche l’Italia, richiamata insieme ad altri governi per non aver completato in tempo il recepimento di nuove norme europee sull’energia e su alcuni diritti procedurali in ambito penale, con termini di risposta fissati a due mesi.

Per capire cosa questo significhi davvero, occorre entrare nella “macchina” delle infrazioni: un percorso in più tappe che parte spesso da una mail di un cittadino o di un’impresa e può finire, anni dopo, con una sentenza della Corte di giustizia accompagnata da sanzioni milionarie.

Da una denuncia alla scrivania della Commissione

La procedura di infrazione non nasce quasi mai all’improvviso. Gli input arrivano da tre canali principali: le verifiche interne dei servizi della Commissione, i ricorsi di cittadini e imprese che si ritengono danneggiati dall’applicazione di una norma nazionale e i controlli sistematici sul recepimento delle direttive da parte degli Stati membri.

Secondo analisi recenti sullo stato dell’applicazione del diritto europeo, sono in corso più di un migliaio di procedimenti aperti nei confronti dei Ventisette, con una concentrazione crescente su ambiente, clima, acque e biodiversità, segno che proprio su questi capitoli molti governi faticano a tenere il passo con la normativa Ue.

Prima di avviare formalmente un caso, Bruxelles utilizza spesso un dialogo informale, talvolta indicato come fase pre-contenziosa. In questa fase i servizi della Commissione scrivono ai governi chiedendo spiegazioni, testi delle leggi nazionali, statistiche sull’applicazione delle norme. Se il chiarimento funziona, il fascicolo viene chiuso senza neppure arrivare alla prima tappa ufficiale.

La lettera di messa in mora: il primo richiamo formale

La vera procedura comincia con la lettera di costituzione in mora, il primo atto formale previsto dai trattati. È un documento indirizzato al governo nazionale in cui la Commissione espone in modo dettagliato i motivi per cui ritiene che quello Stato stia violando il diritto Ue: mancato recepimento di una direttiva entro la data prevista, trasposizione solo parziale, norme interne incompatibili con un regolamento europeo, oppure pratiche amministrative che di fatto rendono inapplicabile la legge dell’Unione.

Di norma lo Stato ha due mesi per rispondere, spiegando come intende rimediare oppure contestando l’interpretazione di Bruxelles. Le risposte non sono solo un esercizio burocratico: in molti casi, nel frattempo, i governi varano decreti correttivi o avviano riforme legislative proprio per disinnescare il contenzioso.

La Commissione ribadisce da anni che la procedura non ha lo scopo di “punire”, ma di riportare tutti gli Stati su uno stesso binario. Come ricordato più volte dai vertici dell’istituzione, “la priorità è che le norme su cui ci siamo accordati siano applicate in tutti i Paesi, non accumulare sanzioni”. In pratica, però, è proprio la prospettiva di una condanna a convincere molti governi a muoversi.

Il parere motivato: l’ultimo avviso prima dei giudici

Se la risposta del governo non soddisfa Bruxelles, o se nel frattempo non vengono adottate le misure promesse, la Commissione passa alla seconda tappa: il parere motivato. Si tratta di una sorta di “atto di accusa” in cui vengono elencati in maniera puntuale i punti di contrasto tra la normativa nazionale e il diritto Ue, con il richiamo agli articoli dei trattati e delle direttive violati.

Nel parere motivato la Commissione chiede ufficialmente allo Stato membro di conformarsi entro un certo termine – di nuovo, di solito due mesi – e lo mette in guardia: se alla scadenza non sarà arrivata una soluzione soddisfacente, il fascicolo potrà essere trasmesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea, con sede a Lussemburgo.

È un passaggio delicato, anche politico. Ricevere un parere motivato significa che il caso è uscito dalla dimensione puramente tecnica e rischia di trasformarsi in un contenzioso pubblico, con conseguenze sull’immagine del governo coinvolto e, non di rado, con ricadute nel dibattito interno tra maggioranza e opposizioni.

Il rinvio alla Corte di giustizia: quando il contenzioso diventa pubblico

Se neppure il parere motivato porta a una soluzione, la Commissione può decidere di deferire lo Stato membro alla Corte di giustizia, in base all’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. È il momento in cui la controversia si sposta dal terreno politico-amministrativo a quello giudiziario.

Davanti ai giudici di Lussemburgo il procedimento assume la forma di un vero processo: memorie scritte, udienze, conclusioni dell’avvocato generale e, infine, una sentenza che stabilisce se lo Stato abbia effettivamente violato o meno il diritto Ue. Gli studi comparativi sulle infrazioni ricordano che solo una minima parte dei casi aperti arriva fino a questo stadio: la grande maggioranza si chiude prima, perché gli Stati preferiscono adeguarsi piuttosto che finire condannati.

Quando però la sentenza arriva e accerta la violazione, lo Stato è obbligato a mettersi in regola nel più breve tempo possibile. Se non lo fa, inizia un secondo capitolo, che può risultare molto più doloroso per i bilanci nazionali.

Le sanzioni: somme forfettarie e penalità giornaliere

I trattati prevedono che, in caso di mancato adeguamento a una sentenza della Corte, la Commissione possa tornare a Lussemburgo chiedendo che allo Stato inadempiente vengano imposte sanzioni pecuniarie. Si tratta in genere di due tipi di multe: una somma forfettaria, destinata a colpire la violazione passata, e una penalità giornaliera, che continua a maturare finché il governo non si allinea al diritto Ue.

Negli anni la Commissione si è dotata di criteri per calcolare gli importi proposti ai giudici, basati su tre elementi: la gravità dell’infrazione, la sua durata e la capacità economica del Paese. Le cifre possono variare da centinaia di migliaia di euro fino a importi che, in casi gravi e prolungati, raggiungono decine di milioni.

Anche se il numero di procedimenti sfociati in sanzioni è relativamente limitato rispetto al totale delle infrazioni aperte, diversi studi hanno mostrato come le multe comminate nel tempo abbiano riguardato soprattutto ambiti ambientali: qualità delle acque, gestione dei rifiuti, tutela di habitat naturali. È il segno che proprio qui, dove il costo politico delle riforme è più alto, molti governi tendono a rinviare gli interventi finché l’Unione non li mette con le spalle al muro.

Perché oggi il dossier infrazioni pesa sempre di più

Negli ultimi anni la procedura di infrazione è diventata un indicatore politico a tutti gli effetti. Da un lato misura la capacità degli Stati di recepire direttive sempre più complesse e numerose, dall’altro fotografa la volontà della Commissione di esercitare fino in fondo il proprio ruolo di “guardiana dei trattati”.

Rapporti e inchieste pubblicati nel 2024 e 2025 hanno evidenziato due tendenze: il numero complessivo delle infrazioni rimane elevato e la quota di casi legati a ambiente ed energia cresce in modo costante, complice la mole di normativa prodotta dal Green Deal europeo. Allo stesso tempo, organizzazioni indipendenti hanno criticato Bruxelles per non ricorrere abbastanza spesso alla fase delle sanzioni, soprattutto nei confronti dei governi che, pur condannati, continuano a rimandare gli interventi richiesti.

La Commissione, dal canto suo, rivendica di aver rafforzato negli ultimi anni il monitoraggio sul recepimento delle direttive, pubblicando ogni anno pacchetti di decisioni – i cosiddetti “infringement packages” – in cui vengono sintetizzati i nuovi casi aperti e le azioni intraprese Paese per Paese. I dossier più recenti mostrano che quasi nessun governo è immune: dai ritardi nel recepimento delle norme sull’energia alle regole sui rifiuti, dalle direttive sul mercato interno ai diritti procedurali nei processi penali.

Cosa significa per cittadini e imprese

Al di là delle formule giuridiche, la procedura di infrazione ha effetti molto concreti. Per i cittadini può significare, ad esempio, la fine di discriminazioni nell’accesso a servizi o prestazioni sociali, l’obbligo per le autorità nazionali di rispettare standard minimi sui diritti fondamentali, o la bonifica di un’area inquinata da anni. Per le imprese, può tradursi nella rimozione di ostacoli illegittimi alla concorrenza, nell’apertura di gare pubbliche fin lì chiuse o nell’applicazione uniforme di regole tecniche e fiscali.

Non a caso migliaia di ricorsi che arrivano sui tavoli di Bruxelles ogni anno provengono proprio da chi, sul campo, si scontra con l’inefficacia o la scarsa applicazione delle norme europee: associazioni ambientaliste, consumatori, ordini professionali, aziende penalizzate da regole nazionali restrittive.

Per gli Stati, invece, il conto è duplice. Da un lato il rischio reputazionale: finire regolarmente nelle liste delle infrazioni aperte significa mandare il segnale di un sistema normativo poco affidabile. Dall’altro il rischio finanziario: più a lungo viene rinviata la soluzione del problema, più cresce la probabilità di una condanna con sanzioni pesanti.

Una lente sulla tenuta dello Stato di diritto

Alla fine, la procedura di infrazione è molto più di un rituale giuridico. È una lente sulla qualità dello Stato di diritto nei singoli Paesi e sulla volontà politica di applicare le regole comuni anche quando sono impopolari. Ogni lettera di messa in mora, ogni parere motivato, ogni rinvio alla Corte racconta una tensione tra sovranità nazionale e impegni condivisi.

In un’Unione attraversata da tensioni sull’indipendenza della magistratura, sulla libertà dei media, sulla transizione ecologica e sulle politiche migratorie, capire come funziona la macchina delle infrazioni significa anche capire fino a che punto l’Europa è disposta a difendere se stessa. E quanto i governi siano davvero pronti a rispettare quelle regole che, almeno sulla carta, hanno contribuito a scrivere.

Per i cittadini, sapere che esiste questo strumento – e che può essere attivato anche partendo da una semplice denuncia – è un tassello fondamentale di partecipazione democratica. Perché dietro ogni procedura di infrazione, oggi più che mai, c’è la domanda più politica di tutte: quanto vale, davvero, il diritto europeo quando viene messo alla prova nei singoli Stati membri.

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