Ilaria Salis in catene non è solo uno sfregio alla giustizia

- di: Redazione
 
Delle sue peripezie si era parlato (non tanto quando forse la vicenda avrebbe imposto) alla vigilia dell'inizio del processo, ma vedere Ilaria Salis entrare in un'aula di tribunale in Ungheria ammanettata come se fosse una pericolosa terrorista o un'assassina seriale, tirata da due agenti bardati con mimetica e mefisto a celare il volto, quasi temessero per la loro vita se riconosciuti, è stato uno schiaffo per l'Italia.
Perché ieri il Paese, da destra a sinistra, ha visto cadere il velo dell'ipocrisia nei rapporti con uno Stato che, se pure fa parte dell'Unione europea, ha un concetto di giustizia assolutamente distorto, al punto tale da minacciare di condannare a 24 anni di reclusione l'insegnante italiana, accusata di avere provocato lesioni lievissime a due neonazisti, undici mesi fa.

Ilaria Salis in catene non è solo uno sfregio alla giustizia

Immagini come quelle proposte ieri di Ilaria Salis fanno male, e non solo per un malinteso senso di rispetto per la figura femminile, quanto perché la relativa gravità delle accuse non giustifica una tale dimostrazione di forza da parte dello Stato ungherese nei confronti di una donna che ha solo mollato, sempre che quanto le viene contestato sia effettivamente accaduto, un paio di calci e qualche schiaffo nel corso di un tafferuglio politico.
Ma da qui a ipotizzare per lei una condanna che, alle nostre latitudini, viene applicata - e nemmeno sempre - contro gli assassini conclamati, ce ne corre. Ed è qui che si deve aprire una riflessione, che cammina su due binari non necessariamente paralleli, perché partono da presupposti che non possono essere accostati.

Nel caso giudiziario della docente brianzola è di tutta evidenza che, nell'aula di tribunale, Ilaria Salis non viene perseguita per quello che avrebbe fatto, ma solo per essere straniera, per essere donna, per professare idee diverse dal pensiero dominante, figlio di un esasperato nazionalismo, che fa vedere orde di nemici ai confini, sempre pronti ad aggredire il suolo patrio.
Il processo, alla luce dello Stato di diritto, è semplicemente un obbrobrio, perché manca di elementi sostanziali quali il diritto alla difesa, violato, irriso, anzi sbeffeggiato. E davanti ad un quadro che griderebbe vendetta ovunque, purtroppo lo Stato italiano ha reagito con una lentezza inspiegabile, soprattutto alla luce di quel che si sapeva. Ovvero che tutto il castello accusatorio si riduce a uno scontro fisico durato pochi secondi e nel quale l'imputata non ha fatto ricorso ad armi e, soprattutto, non poteva avere come obiettivo quello dell'eliminazione fisica degli ''avversari''.

Eppure Ilaria Salis, a sentire quel che dice da tempo il padre, non ha goduto di quell'assistenza che le nostre rappresentanze all'estero garantiscono ai nostri connazionali oggetto di procedimenti giudiziari nei quali si ravvisano violazioni dei diritti dell'imputato. Come è chiaro sia accaduto nel caso di Ilaria, che non solo si è dichiarata innocente, quanto, come ha riferito il suo avvocato, non ha potuto nemmeno leggere gli atti su cui si poggiano le accuse perché non sono mai stati tradotti dall'ungherese, né ha avuto visione del video che, a detta degli inquirenti, la inchioda. Quindi il suo diritto alla difesa è stato calpestato nel momento in cui le è stato negato l'accesso agi elementi che, per la giustizia ungherese, ne hanno giustificato l'arresto e soprattutto l'abnorme carcerazione preventiva, per le condizioni della detenzione e per la lunghezza.

Quindi, non un processo, ma un simulacro di giustizia perché intende perseguire non un atto, ma le idee che, in qualche modo, lo hanno determinato. Una vicenda che, giudiziariamente e nel rispetto delle leggi ungheresi, non sarebbe dovuta finire per come sta finendo, perché verrebbe naturale da chiedersi se il rigore che si sta usando contro la nostra connazionale sia eguale per gli stessi ungheresi. Perché se così fosse - cioè se ogni reato, vero e presunto, fosse perseguito con la ferocia riservata a Ilaria - c'è da sospettare che le carceri ungheresi scoppino.

Ma sarebbe forse sbagliato risolvere tutto ad una faccenda tra imputata, giudici e avvocati, perché il caso di Ilaria Salis ha forti implicazioni politiche, che non sono risolvibili con la convocazione dell'ambasciatore ungherese in Italia da parte del nostro ministero degli Esteri perché è risaputo che si tratta di un atto meramente formale, per mostrare lo sconcerto di uno Stato nei confronti di un altro e nulla di più.
Però oggi non parliamo di uno Stato qualsiasi, ma di quell'Ungheria che, ormai sotto il ferreo controllo di Viktor Orban e in perenne lotta con l'Europa comunitaria, di cui fa parte, è stato indicato spesso (forse anche troppo) non proprio come un modello, ma comunque come un esempio di come si possa mettere in pratica il sovranismo.

Queste brutta storia alla fine si risolverà (magari con una condanna non eccessivamente lunga da consentire l'estradizione in Italia o magari una grazia presidenziale, chi lo sa), ma di sicuro, da oggi e per il futuro, guardare all'Ungheria come al prototipo dello Stato europeo capace di difendere le proprie prerogative a discapito dei concetti dell'Ue potrebbe essere politicamente non più proponibile. Nemmeno a livello di fotografie...
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