Gran Bretagna: l'imbarazzante difesa di Boris Johnson per i party durante la pandemia

- di: David Lewis
 
Qualcuno che non abbia i capelli bianchi ricorda quale fosse lo slogan più gridato dai ragazzi che protestavano nel 1968, praticamente in tutti i Paesi occidentali, chiedendo un radicale cambiamento delle priorità della società? Urlavano ''l'immaginazione al potere'', riprendendo una frase coniata da Herbert Marcuse, filosofo tedesco, naturalizzato americano, che ha lasciato una importante impronta nella formazione del pensiero che viene definito come la teoria critica della società.
M'è venuto questo alla memoria guardando quello che l'uomo, fino a pochi mesi fa il più potente del Regno Unito, ha detto per cercare di giustificarsi dall'accusa di avere organizzato dei ricevimenti nella sua residenza, durante i quali, oltre a mangiare, si andava giù duro nel bere vino o altro.

Gran Bretagna: l'imbarazzante difesa di Boris Johnson per i party durante la pandemia

Cosa che Boris Johnson - è di lui che parlo - poteva fare tranquillamente, ma non certo durante la fase più acuta della pandemia, non certo quando a causa del Covid e dei morti che si portava dietro, tutti eravamo invitati/costretti dal governo a limitare al massimo i contatti con gli altri e, quindi, preferibilmente, a restare in casa, rinviando a tempi migliori le occasioni conviviali.
Per riassumere in poche parole, il nostro primo ministro di quegli anni, l'uomo che rappresentava il Regno Unito negli incontri tra i potenti della Terra, colui che, per definizione, doveva essere d'esempio per tutti (soprattutto in un periodo socialmente devastante, come quello della pandemia), si è dimostrato tutt'altra cosa.

Qualcuno che dava ordine e restrizioni, che però erano efficaci non in casa sua. Che poi era al numero 10 di Downing Street, non in una casetta a schiera in periferia.
Lui, BoJo, comparendo davanti alla commissione che dovrà dire se egli. mentendo, abbia oltraggiato o meno Parlamento, ha come al solito interpretato il suo personale show e, come il marito che ha tradito, lo ha fatto negando le evidenze. Comunque, lo spettacolino che ha messo in piedi davanti al commissari potrebbe passare alla Storia (almeno la sua) come l'ultima grottesca rappresentazione di un uomo che è arrivato in cima alla piramide politica britannica per le sue capacità affabulatorie e per il senso della scena, non certo per la coerenza.

Ma questo sino a quando è libero di muoversi, sulle magiche assi di legno, come un novello Edmund Kean. Solo che Kean era un attore, calpestando il palcoscenico con una maestria che ha forse pochi eguali nella storia del teatro britannico, mentre Johnson è solo un politico, col massimo rispetto per quelli che lo sono rispettando le leggi e soprattutto la gente.
Cosa che l'ex primo ministro non ha fatto, dicono i fatti, quando ha aperto i giardini della sua residenza per quelli che ha cercato di fare passare come incontri di lavoro e che forse lo erano, ma all'inizio, non quando sono poi arrivate le libagioni.

Sinceramente non so quale possa essere, alla fine, il giudizio della commissione. Per quel che può valere, il mio è che Johnson, per fortuna nostra, è forse arrivato al passo d'addio, non per quello che ha fatto (in fondo, resta un essere umano), ma per come ha cercato di giustificarsi, dopo avere giurato solennemente, ricorrendo alla formula che chiama in causa Dio e la Bibbia, che stava per dire il vero.
Se qualsiasi altro uomo avesse detto, come lui ha fatto davanti alla Commissione, che ''sono qui per dirvi, con la mano sul cuore, che non ho mentito al Parlamento'' (quando, con l'esplodere del caso, gli fu chiesto cosa era accaduto e se lui fosse consapevole dell'errore) tutti avrebbero sorriso, se non addirittura sghignazzato di cuore . ''Quelle dichiarazioni - ha spiegato - vennero fatte in buona fede, sulla base di ciò che sapevo e credevo in quel momento''.

Poi la pennellata di contrizione, di pentimento, quasi a cercare la benevolenza dell'uditorio. ''Era sbagliato, me ne rammarico amaramente, capisco la rabbia della gente e me ne assumo la responsabilità''. Come a volere dire: sì, ho sbagliato, ma non sapendo di sbagliare.
Dopo avere messo da parte lo sbigottimento per avere ascoltato questa ridicola linea di difesa, mi sono andato a riguardare la biografica di Johnson per avere conferma del ricordo che sia laureato in Lettere classiche nientemeno che a Oxford. Quindi forse non c'è bisogno di tradurre quel che dicevano i romani, ''ignorantia legis non excusat''. E il bello è che la legge era stato proprio lui a promulgarla.
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