Troppi tenori nel governo

- di: Redazione
 
Giacomo Puccini - in cima alle mie preferenze operistiche, ma di questo poco importa a qualcuno - l'aveva capito benissimo che spesso la voce non riesce a interpretare il sentimento o, al contrario, lo travisa solo per il gusto di qualcuno di ascoltarsi.
Il coro muto della ''Madama Butterfly'' ne è un chiaro esempio, rendendo quel suono (chi ne capisce lo chiama humming, per il mugolio che lo contraddistingue) uno struggente inno all'amore. Una lezione che evidentemente pochi conoscono nella politica, e più in particolare nel governo, dove chiunque sieda su una poltrona, uno strapuntino, un divano e persino uno sgabello si sente autorizzato a intervenire, a dire la sua, anche quando essa non interessa a nessuno. E', questa, la rappresentazione plastica di quanto difficile sia il ruolo che Giorgia Meloni si è caricata sulle spalle, credendo che la forza del suo (e solo suo) trionfo elettorale le garantissero fedeltà dagli alleati e, magari, obbedienza.

Troppi tenori nel governo

Così non è per lei e, purtroppo, per il Paese, che ancora oggi, a più di cinque mesi dalle elezioni, stenta a riconoscere, nella coalizione di governo, una alleanza (la differenza è molto meno banale di quanto si possa pensare) perché dall'esecutivo si levano troppe voci in libertà, nel tentativo di marcare differenze e quindi confini e, infine, territori.
Il caso delle polemiche dopo la tragedia di Cutro è paradigmatico di come i passati appelli alla moderazione verbale, rivolti dal premier ai suoi ministri e alleati, siano caduti nel vuoto, anche perché, per bypassare i paletti di Giorgia Meloni allo strabordante eloquio di qualcuno, si utilizzano mezzi e mezzucci.

L'invito a non parlare troppo però spesso è destinato a cadere nel vuoto, se vengono poste domande precise. Dovrebbe stare a chi è chiamato a rispondere evitare di incorrere in gaffe, come troppo spesso accade al ministro Piantedosi che sicuramente è un uomo dello Stato e delle Istituzioni, ma di certo non è aduso a scansare le trappole non padroneggiando molto le insidie della dialettica. Ma il ministro dell'Interno non è il solo a parlare e mettere in difficoltà il governo, essendo in buona compagnia tra chi è garantista a corrente alternata, tra chi difende la Costituzione solo nei giorni pari, tra chi rincorre la notorietà del momento sparando post e tweet di imbarazzante autocelebrazione.

Forse, ma chi siamo noi per dare consigli a qualcuno?, sarebbe utile, per l'operatività del governo, che Giorgia Meloni - sempre che non l'abbia già fatto - metta la mordacchia ai quei ministri dalla comunicazione più effervescente, non per censurarli, ma solo per dire loro che quel che pensano e sostengono potrebbe anche nuocere all'azione dell'esecutivo, che non può essere messo in imbarazzo da qualche stravagante interpretazione delle parole di chi, come papa Francesco, ha una tale autorevolezza da non consentire a chicchessia di farsene esegeta.
Arruolare anche il papa, strumentalizzandone le parole decontestualizzandole, non giova ad un governo che della autorevolezza data dai numeri ha fatto la sua bandiera sin dai primi provvedimenti.
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