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Francesco Giro, la poesia che non si mette al riparo

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Francesco Giro, la poesia che non si mette al riparo

C’è un equivoco diffuso, comodo, rassicurante: che la poesia sia una zona protetta. Un recinto in cui rifugiarsi mentre fuori la realtà fa il suo lavoro sporco — cronaca, conflitti, ferite, tragedie, indignazioni lampo. E poi c’è un’altra idea, più severa, più esigente: che la poesia sia proprio il luogo in cui la realtà torna a pesare, perché qualcuno la trattiene, la guarda, la nomina.
È dentro questa idea che va letto il riconoscimento assegnato a Francesco Giro, vincitore della XX edizione del Premio Internazionale Mario Luzi per il libro Poesie. Un premio che non è una medaglia ornamentale, ma un segnale preciso: la poesia, quando non si sottrae al tempo, può ancora dire qualcosa che conta.

Francesco Giro, la poesia che non si mette al riparo

Il Premio Luzi — nato nel 2005 dopo la scomparsa di Mario Luzi, poeta e senatore della Repubblica — è dedicato a una concezione rigorosa della letteratura: la poesia come coscienza, non come evasione. È un riconoscimento che guarda alla poesia edita e inedita come luogo di responsabilità, non di intrattenimento. In questa cornice, la scelta di premiare Giro segnala una continuità di sguardo: parola e presente non vengono separati.

Da Pasolini alla cronaca: la poesia come rischio
C’è una linea carsica che attraversa la cultura italiana e riaffiora ogni volta che qualcuno rifiuta di separare poesia e vita. È la linea che passa per Pasolini: non come modello da imitare, ma come ammonimento permanente. Pasolini chiedeva alla poesia di stare nel fango del presente, non sopra. Di non farsi assolvere dall’eleganza.
La poesia di Giro si colloca in questa tensione. Non cerca la provocazione, ma rifiuta la neutralità. Nei suoi versi entrano la cronaca nera, le ferite civili, le tragedie che l’informazione consuma in fretta: femminicidi, vittime della strada, violenza mafiosa, malattia, memoria spezzata. La poesia non commenta e non spiega: trattiene. Non giudica: espone. È qui che l’“io” smette di essere confessione e diventa soglia, punto di passaggio attraverso cui il mondo entra nella scrittura.

Francesco Giro, oltre il ruolo
Qui si impone una precisazione necessaria. Francesco Giro non è un politico che scrive poesia come congedo, né un ex uomo delle istituzioni che usa i versi come armatura simbolica o come pensione dorata. Il suo passato pesa, certo — consigliere regionale del Lazio, parlamentare, sottosegretario ai Beni e alle Attività culturali — ma non viene esibito come titolo di rendita.
Accade piuttosto il contrario: la poesia diventa il luogo in cui quel passato viene messo alla prova, non protetto. Giro non si ritira dal presente, non lo guarda da lontano. Continua a starci dentro, da intellettuale che ha conosciuto il potere e ne ha visto i limiti, scegliendo di misurarsi con il tempo attraverso la parola nuda. La poesia, in questo senso, non segna una fuga dalla politica, ma una sua radicalizzazione etica: meno ruoli, meno mediazioni, più responsabilità.

Il Tempio di Adriano e Il tuo naso timone
Questa idea di poesia come gesto pubblico emerge con chiarezza nella presentazione al Tempio di Vibia Sabina e Adriano, dove Giro porta "Il tuo naso timone" e altre poesie. La scelta del luogo non è neutra: riportare la poesia nel cuore simbolico della città significa sottrarla alla nicchia e restituirla alla polis.
In quella occasione la poesia diventa voce, corpo, relazione. I testi affrontano casi di cronaca e memoria civile: il femminicidio come ferita strutturale, il caso di Giuseppe Di Matteo come emblema della crudeltà mafiosa, la morte di giovani come Francesco Valdiserri come simbolo di una normalità spezzata. Non c’è spettacolarizzazione del dolore, né retorica dell’indignazione. C’è l’ostinazione a non lasciare che tutto scivoli via.
Le poesie al Tempio di Adriano sono state lette da Vanessa Gravina, Enrico Montesano, Lino Guanciale, Vittorio Sgarbi, Arnaldo Colasanti e Alfonso Sabella. Voci diverse, provenienti da esperienze differenti, chiamate a una responsabilità comune: restituire alla parola poetica una dimensione pubblica, condivisa, non addomesticata.

Il premio e Poesie: quando la parola resta
Il riconoscimento del Premio Internazionale Mario Luzi arriva dopo questo percorso. Poesie, il libro premiato, non cambia direzione: la rende più netta. La scrittura si fa essenziale, concentrata, meno esposta al contesto dell’evento e più affidata alla tenuta della parola. Qui la poesia non accompagna la realtà: la affronta, senza cercare protezioni.
È questo che il premio segnala. Non tanto uno stile, quanto una postura. In un panorama letterario spesso rassicurante, Poesie sceglie di non rassicurare. E in questo dialoga con l’eredità luziana: la poesia come disciplina morale dello sguardo, come luogo in cui la parola deve rispondere del mondo che nomina.

Un percorso biografico che pesa
Per comprendere fino in fondo questa scelta, bisogna tornare alla biografia. Laureato in filosofia, Giro ha attraversato per oltre trent’anni la vita pubblica italiana: consigliere regionale del Lazio, parlamentare alla Camera e al Senato, sottosegretario ai Beni e alle Attività culturali. Un percorso istituzionale di primo piano, che avrebbe potuto esaurirsi nell’autorevolezza del ruolo.
Accade il contrario. Dopo la politica, Giro sceglie la scrittura come spazio di verità. Prima nei saggi — La città chiara, riflessione sul rapporto tra politica e cultura urbana; Interesse Capitale. Il giro di Roma in 80 giorni, viaggio nella città come metafora civile — poi nei libri di analisi come Silvio Berlusconi e la città ideale. La poesia arriva come ulteriore spoliazione: il luogo in cui non ci sono più mediazioni, né protezioni.

Montalto di Castro: la poesia fuori dal centro
Il percorso non si ferma ai luoghi simbolo della capitale. Il 10 ottobre, a Montalto di Castro, la poesia di Giro arriva in un contesto diverso, più appartato, più concreto. A presentarla Sergio Caci, esponente di Forza Italia ed ex sindaco di Montalto di Castro, insieme a Giuseppe Castellini, nostro direttore di Italia informa.
Non una tappa marginale, ma una scelta precisa. Portare la poesia nelle province significa sottrarla all’autoreferenzialità e restituirla alla sua funzione civile. Qui la parola non è “evento”, ma incontro. Non consacrazione, ma passaggio di testimone.

La poesia come testimone
Tra Roma e Montalto, tra il Tempio e la provincia, il messaggio resta coerente: la poesia non è un lusso per pochi, ma una forma di attenzione. Un modo per impedire che il presente diventi rumore indistinto. Un gesto che chiede tempo, ascolto, responsabilità.

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