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Il Gender gap in Italia resta un macigno: tasso di occupazione femminile più basso d’Europa

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Il Gender gap in Italia resta un macigno: tasso di occupazione femminile più basso d’Europa

Meno assunte, meno pagate, meno tutelate. Il lavoro femminile in Italia continua a essere un'anomalia cronica nel panorama europeo. Lo dicono i numeri, impietosi: il tasso di occupazione delle donne è il più basso tra i 27 paesi dell’Unione, mentre il divario con gli uomini sfiora il doppio della media Ue. Se nella maggior parte dei paesi europei si sono compiuti progressi significativi verso la parità di genere nel mondo del lavoro, in Italia la situazione appare stagnante, con scarti che si ripetono di anno in anno, a dispetto di proclami, promesse e campagne sulla parità salariale.

Il Gender gap in Italia resta un macigno: tasso di occupazione femminile più basso d’Europa

A certificare il ritardo strutturale del nostro Paese sono i dati Eurostat e Istat, che mettono nero su bianco un problema che non accenna a risolversi, nemmeno con l’avanzata di leggi e iniziative tese a ridurre il divario. Una realtà che si perpetua di governo in governo, a dispetto delle dichiarazioni e delle iniziative che, pur presentate come rivoluzionarie, si rivelano spesso palliativi di fronte a un sistema che continua a penalizzare le donne.

Un gap di quasi venti punti tra uomini e donne
Il tasso di occupazione femminile in Italia nel 2023 si è fermato al 55,5%, un valore di gran lunga inferiore rispetto al 75,3% registrato tra gli uomini. Il divario si attesta quindi a 19,8 punti percentuali, una distanza quasi doppia rispetto alla media europea, che si aggira intorno ai 10 punti. Numeri che collocano l’Italia all’ultimo posto nella classifica dell’occupazione femminile tra i 27 Paesi Ue, dietro persino alla Grecia, tradizionalmente considerata l’economia più fragile del blocco europeo.

Un dato che si traduce in un esercito di donne fuori dal mercato del lavoro: più di una su tre in età da lavoro resta esclusa da impieghi regolari, spesso intrappolata in contratti precari, part-time involontari o in condizioni di lavoro informale. A incidere su questo fenomeno sono diversi fattori, tra cui la carenza di politiche di welfare che consentano una reale conciliazione tra lavoro e famiglia, la mancanza di servizi adeguati per l’infanzia e la persistenza di stereotipi culturali che vedono ancora la donna come principale responsabile della cura della casa e dei figli.

Retribuzioni dimezzate, carriera sbarrata
Ma anche quando un lavoro ce l’hanno, le donne italiane guadagnano meno degli uomini. E non di poco. Il gender pay gap in Italia varia da un minimo di 3mila euro annui a un massimo di 14mila euro in meno rispetto ai colleghi uomini, a parità di inquadramento e competenze. Un divario che si allarga esponenzialmente nelle posizioni di vertice, dove il cosiddetto “soffitto di cristallo” continua a rappresentare un ostacolo difficilmente infrangibile.

Le donne manager, infatti, sono una minoranza e, anche quando riescono a raggiungere ruoli dirigenziali, percepiscono stipendi mediamente più bassi del 23% rispetto ai loro colleghi maschi. A questo si aggiunge un altro elemento discriminante: le donne che lavorano sono spesso costrette a fare i conti con condizioni contrattuali più fragili, con meno possibilità di avanzamento di carriera e con una maggiore incidenza di contratti precari.

Il quadro diventa ancora più preoccupante quando si prende in considerazione l’impatto della maternità sul percorso professionale femminile. Secondo l’Ispettorato del Lavoro, oltre il 30% delle lavoratrici con figli sotto i tre anni lascia il posto di lavoro. Non per scelta, ma perché costrette da un sistema che non offre soluzioni praticabili per bilanciare vita familiare e vita lavorativa. La maternità, in Italia, continua a essere vista come un ostacolo alla carriera, un elemento di debolezza che le aziende faticano ad accettare, imponendo spesso scelte drastiche alle lavoratrici.

Il paradosso italiano: più istruite, meno occupate
Eppure, le donne italiane studiano di più e si laureano con voti mediamente più alti rispetto agli uomini. I dati indicano che il 60% dei laureati in Italia è donna. Tuttavia, questo vantaggio educativo non si traduce in un accesso equo al mondo del lavoro. Anzi, l’Italia detiene un altro primato negativo: è il Paese con il più alto numero di Neet femminili (donne tra i 25 e i 34 anni che non lavorano né studiano) e con una delle più basse percentuali di donne impiegate nei settori STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), ambiti che offrono stipendi più alti e opportunità di carriera migliori.

Il risultato è un cortocircuito che si autoalimenta: da un lato, le donne vengono spinte verso studi che non trovano sbocchi lavorativi adeguati; dall’altro, le professioni più redditizie e ambite restano appannaggio maschile.

Le riforme mancate e l’immobilismo politico
Di fronte a questa situazione, viene spontaneo chiedersi: cosa manca in Italia per colmare il gap di genere nel mondo del lavoro? La risposta è complessa, ma alcuni elementi emergono con chiarezza.

In primo luogo, la carenza di servizi per l’infanzia e di misure di welfare realmente efficaci. L’Italia ha uno dei tassi più bassi di copertura degli asili nido in Europa, con costi spesso proibitivi per le famiglie. Inoltre, il sistema dei congedi parentali è ancora sbilanciato, con un carico di cura che grava quasi esclusivamente sulle donne.

A questo si aggiunge l’assenza di politiche di incentivazione all’occupazione femminile. Mentre in altri Paesi europei sono state introdotte misure per ridurre il costo del lavoro femminile e per premiare le aziende che adottano politiche di equità salariale, in Italia gli interventi in questa direzione sono stati sporadici e poco incisivi.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) aveva previsto investimenti per il potenziamento degli asili nido e per la promozione dell’occupazione femminile. Tuttavia, i ritardi nell’attuazione rischiano di vanificare tutto, lasciando le donne italiane ancora una volta indietro.

Nel frattempo, il mondo del lavoro resta un affare da uomini. E per le donne, il futuro continua a essere una salita ripida e piena di ostacoli.

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