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Gaza, oltre 50.000 morti dall’inizio della guerra: Israele uccide un leader di Hamas e stringe la morsa su Rafah

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Gaza, oltre 50.000 morti dall’inizio della guerra: Israele uccide un leader di Hamas e stringe la morsa su Rafah

Israele continua a martellare la Striscia di Gaza. I morti, secondo il ministero della Sanità locale, avrebbero superato la soglia dei 50.000 dall’inizio del conflitto. Un numero che, anche se contestato da fonti israeliane, rappresenta plasticamente la portata del massacro. Gli attacchi si concentrano ora su Rafah e Khan Yunis: l’ospedale Nasser, secondo Al Jazeera, è stato colpito da un raid dell’Idf. Il bilancio è di almeno cinque vittime. L’esercito ha confermato l’azione, affermando di aver eliminato un “terrorista chiave di Hamas”.

Gaza, oltre 50.000 morti dall’inizio della guerra: Israele uccide un leader di Hamas e stringe la morsa su Rafah

Tra le vittime c’è Salah al-Bardawil, figura di rilievo dell’organizzazione islamista, terzo esponente dell’ufficio politico di Hamas ucciso da martedì, dopo Yasser Harb ed Essam al-Dalis, ex capo del governo locale. La strategia israeliana è ormai chiara: decapitare la leadership politica e militare di Hamas colpendo ovunque, anche dove i civili sono ammassati in condizioni disperate. Nessun luogo è più sicuro a Gaza.

L’Idf ha annunciato di aver completato l’accerchiamento del quartiere Tel al-Sultan, a Rafah. Prima dell’offensiva, erano stati lanciati volantini per invitare la popolazione ad abbandonare la zona. Ma come fuggire, se ogni strada è una trappola? “Ci hanno ordinato di andar via e poi ci hanno sparato mentre scappavamo”, ha raccontato una donna all’Afp. Le scene sono quelle di un esodo biblico, ma senza via di salvezza. Carri trainati da asini, famiglie intere in marcia, sotto il cielo dei droni.

Netanyahu non cede. Il premier israeliano, stretto tra le critiche interne e la pressione internazionale, rilancia sulla linea dura. Dopo aver rimosso il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, rafforza il suo controllo sul sistema di sicurezza e continua a ignorare le proteste crescenti nelle piazze israeliane, dove si chiede la liberazione degli ostaggi ma anche la fine del conflitto. Ogni appello al dialogo sembra cadere nel vuoto. La parola “cessate il fuoco” è bandita dal lessico ufficiale.

Intanto, la guerra bussa anche alle porte di Israele. Missili dallo Yemen hanno fatto scattare le sirene a Tel Aviv. Al sud, l’Idf rivendica l’uccisione di un combattente di Hezbollah in Libano. La frontiera nord è tutt’altro che dormiente. Eppure il governo continua a parlare solo di Gaza. Come se l’intero Medio Oriente non fosse sull’orlo di un nuovo grande incendio.

Sul fronte diplomatico si registra il ritorno della voce di Papa Francesco, che ha chiesto che “tacciano le armi”. Lunedì sarà la volta della nuova Alto Rappresentante Ue Kaja Kallas, attesa in Israele e nei Territori Palestinesi. Vedrà Herzog, Lapid, il premier dell’Anp Mohammad Mustafa e Abu Mazen. Ma l’agenda è debole, e l’Europa appare sempre più marginale nel gioco delle grandi potenze.

La verità è che la guerra è diventata sistema. Trump, probabile candidato repubblicano alle presidenziali, benedice la linea di Netanyahu e rilancia l’idea di un piano per “trasformare Gaza in una riviera” dopo lo sfollamento dei palestinesi. Un progetto che sa di espulsione forzata e che Israele ha iniziato a mettere nero su bianco. Il ministro della Difesa Israel Katz ha annunciato la creazione di una struttura ad hoc per gestire l’“emigrazione volontaria” da Gaza. Un eufemismo che nasconde l’odore acre della pulizia etnica.

Nel frattempo, si continua a morire. Nelle case, negli ospedali, per strada. Le bombe non distinguono tra terroristi e bambini. E il silenzio internazionale, a tratti, sembra complice. In questo scenario, ogni giorno che passa è una sconfitta per l’umanità.

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