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Gaza, la piazza di Roma rompe il silenzio: “Non in nostro nome”

- di: Marta Giannoni
 
Gaza, la piazza di Roma rompe il silenzio: “Non in nostro nome”
In migliaia al corteo con Schlein, Conte e Fratoianni. “Basta complicità”. Ma le comunità ebraiche italiane avvertono: “Una bandiera sola è ingiustizia”.
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Roma, la rabbia di chi non vuole più tacere
Non è una protesta come le altre, quella che ha attraversato il cuore di Roma nel pomeriggio di oggi 7 giugno. È un urlo che si fa spazio tra gli striscioni e i cori, una presa di posizione netta contro “il massacro in corso a Gaza” e il silenzio di molti governi occidentali, a cominciare da quello italiano. Il corteo partito da Piazza Vittorio e arrivato a San Giovanni – organizzato da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra – ha portato in strada migliaia di persone, volti noti della politica e cittadini comuni, uniti da una parola d’ordine: giustizia.
Sotto lo striscione “Gaza stop al massacro. Basta complicità”, sfilano Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Ma ci sono anche figure istituzionali come Stefano Bonaccini, Francesco Boccia, Riccardo Ricciardi, Paola Taverna, Marco Grimaldi e persino Massimo D’Alema, a testimoniare che qualcosa si muove – finalmente – anche nei palazzi del potere.

“Questa è la piazza dell’umanità”
Parole durissime quelle pronunciate da Giuseppe Conte all’avvio della manifestazione: “È uno sterminio sistematico che va avanti da 20 mesi, e troppi fanno finta di non vedere. Noi diciamo basta”. L’ex premier rivendica la mozione unitaria presentata in Parlamento da Pd, M5s e Avs come “atto politico concreto” e rilancia: “Non possiamo essere partner di un genocidio”.
Non meno netta Elly Schlein: “È un’enorme risposta di partecipazione per dire basta ai crimini del governo Netanyahu. Questa è un’altra Italia, quella che non tace, che vuole il riconoscimento dello Stato palestinese”.
Tra i manifestanti, le immagini raccontano molto più delle parole. Un ragazzo porta sulla schiena un collage di Netanyahu, Meloni, Hitler e Mussolini, con la scritta: “Oggi come ieri”. Un altro cartello recita: “Sono padre, cristiano, nonno, italiano. Non sono assassino”, in aperta parodia della famosa frase pronunciata dalla premier Meloni.

La voce della piazza e i suoi contrasti
“Palestina libera!”, gridano in coro le centinaia di manifestanti. Le bandiere sventolano: quelle della Palestina e quelle della pace si alternano a simboli di partito, in una commistione che – per alcuni – ha il sapore della strumentalizzazione elettorale. Non tutti, infatti, si riconoscono in questa mobilitazione.
Il Movimento degli studenti palestinesi in Italia ha preso le distanze: “È una piazza tardiva, dei complici, non dei solidali. Organizzata da partiti che ora hanno bisogno di voti”, dichiarano in una nota. Non c’è una delegazione ufficiale, solo presenze individuali.

Le comunità ebraiche: “Mai una sola bandiera”
Poche ore prima dell’inizio della manifestazione, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha espresso la propria inquietudine: “Difendere solo un popolo è già un’ingiustizia. È fondamentale ricordare che anche gli israeliani sono vittime”. Un invito a non cedere a una narrazione semplificata del conflitto, a non ridurre la tragedia in corso a una sola chiave di lettura. “Mostrare entrambe le bandiere è un atto di equilibrio, non una concessione”, affermano in un comunicato.
Una tensione evidente che gli organizzatori provano a disinnescare. “Mobilitarsi per Gaza non è antisemitismo, è un’accusa infamante”, ha detto Nicola Fratoianni. E ancora Conte: “Quella del genocidio è una questione politica e umanitaria, non religiosa. Chi dice il contrario usa solo espedienti retorici”.

Un segnale forte, ma isolato?
Il corteo ha avuto il merito di riportare la questione palestinese al centro del dibattito pubblico. In un Paese dove l’asse governativo si è mostrato finora timido, se non apertamente schierato con Israele, questa manifestazione rompe un tabù. Ma basterà una sola piazza a invertire la rotta della diplomazia italiana? Per ora, il governo Meloni non ha mostrato segnali di apertura verso un riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina, come fatto recentemente da Irlanda, Spagna e Norvegia.
Eppure, la pressione cresce. L’Europa si spacca, la società civile si mobilita, i partiti – soprattutto in vista dei ballottaggi – fiutano l’aria. “Questa è l’Italia che vogliamo”, dice Schlein. Ma è davvero un’Italia pronta a cambiare rotta?

Una questione di complicità e coscienza
Il dibattito è aperto, e non finirà qui. Il corteo del 7 giugno è stato un atto politico, ma anche un gesto morale. Una presa di posizione che chiama in causa la coscienza collettiva di un Paese spesso pavido. È la voce di chi rifiuta la neutralità di comodo. È un’Italia che, almeno per un giorno, ha voluto dire: non nel nostro nome.

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