Il principale strumento di guerra non è più un’arma, ma un pasto negato; ospedali e mercati sotto assedio umano.
(Fotomontaggio realizzato con l'intelligenza artificiale).
Dramma quotidiano tra le macerie
Da marzo 2025 la Striscia di Gaza vive un blocco totale che ha paralizzato qualsiasi afflusso di cibo, medicinali, carburante ed elettricità.
Alla metà di luglio, l’UNICEF e l’OMS avvertono: i tassi di malnutrizione acuta hanno sfiorato il raddoppio tra i bambini, con oltre 66.000 piccoli in gravi condizioni già a maggio.
I mercati sono desolati, i prezzi astronomici — e il denaro non serve a nulla, perché non c’è nulla da acquistare.
“La fame ci divora vivi”, “svenimenti in strada”: i malati di ipoglicemia vengono portati negli ospedali con l’ultimo filo di vita. Senza zucchero o succo a sostenere, molti muoiono senza neanche un cucchiaino per salvarli — lo confermano medici e personale esausto.
Sono strutture ormai al collasso, riempite non solo di feriti da guerra, ma soprattutto di denutriti gravi, spesso bambini e anziani.
Le convivenze con un’arma letale: la fame
La fame, oggi, è diventata un’arma di guerra. L’ONU e Amnesty International denunciano con forza: il blocco odierno non è “povertà”, ma “gli effetti di una strategia deliberata” per spingere Gaza al collasso.
Centinaia di camion carichi di generi di prima necessità restano bloccati in Egitto o al valico di Kerem Shalom: un paradosso tragico. I magazzini sono pieni, ma l’ingresso è negato.
Punti di distribuzione trasformati in trappole mortali
L’alternativa proposta, sotto supervisione israeliana e di contractor privati, è diventata una trappola: nei nuovi punti di erogazione alimentare gestiti dalla cosiddetta Gaza Humanitarian Foundation (GHF), almeno 875 persone sono state uccise e quasi 5.000 ferite da fine maggio a metà luglio mentre attendevano cibo.
Solo il 20 luglio, 67–79 civili vengono uccisi da spari israeliani alla dogana di Zikim, dove si accalcavano in cerca di pane e riso.
“Barbarie”: così ha definito questi episodi Papa Francesco, chiedendo l’interruzione immediata delle ostilità.
Il bilancio dei piccoli è catastrofico
Secondo il ministero della salute di Gaza, almeno 76 bambini sono già morti per malnutrizione severa, mentre altri 600.000 rischiano la vita a ogni ora.
L’ONU parla di circa 1,17 milioni di persone in condizioni di “fame catastrofica” (IPC fase 5), un fenomeno mai visto dai tempi della Seconda guerra mondiale.
A giugno, solo due autocisterne al giorno passavano con combustibile e cibo da Kerem Shalom — largamente insufficienti a coprire i bisogni di un’intera popolazione sospesa tra bombe ed effimeri soccorsi.
Una condanna che arriva da tutto il mondo
ONU (Tom Fletcher): “Bloccate le forniture umanitarie, rischio genocidio”.
Unione Europea, pur con un accordo di maggio, lamenta un aumento minimo dei camion, definendo la situazione “insufficiente” e chiedendo stazioni di controllo al valico.
Amnesty International denuncia che il blocco alimentare è parte di una strategia genocida deliberata da Israele.
La vita come moneta di scambio
È difficile trovare metafore per descrivere il dolore di chi muore di fame mentre le scorte ci sono, destinate a non entrare. L’arma più efficace oggi non è un ordigno, ma la bocca di un bambino che resta chiusa, una madre gravata dal senso di ingiustizia, un padre che non riesce a capire come sopravvivere un altro giorno.
La comunità internazionale parla, protesta, ma la fame — strumento più crudele — continua a mietere vittime.
Serve un’inversione di rotta: aprire i confini, facilitare i corridoi umanitari, smilitarizzare i punti di distribuzione. È l’unica via per trasformare l’odierno silenzio complice in un gesto di salvezza collettiva.