La tragedia di Mottarone uno schiaffo alla dignità del Paese

- di: Redazione
 
Luigi Nerini, titolare dell'impresa che gestisce la funivia; Enrico Perocchio, direttore dell'esercizio, e Gabriele Tadini, il capo servizio: cominciamo ad abituarci a questi nomi ed a queste qualifiche che, nelle prossime settimane, occuperanno le cronache e, con esse, provocheranno disgusto e sconcerto perché a loro saranno per sempre legati il dolore e lo straziante ricordo delle quattordici vittime della sciagura della funivia del Mottarone.

Abituiamoci perché, se tutte le cose che si stanno scrivendo in queste ore sui siti dei quotidiani italiani saranno confermate in ordine alle loro responsabilità, queste tre persone - che comunque restano in piena presunzione di innocenza, anche se pare che abbiano fatto le primo sconcertanti ammissioni - diventeranno l'ennesimo simbolo di un'Italia alla quale ogni persona degna di tale definizione deve ribellarsi.
Stando soltanto ai primi responsi degli accertamenti tecnici (cui seguiranno anche quelli dei periti, oltre quelli della Procurta), pare oramai chiaro che la sciagura non è conseguenza di una casualità, della rottura di un cavo o di un altro componente del meccanismo di cui la funivia si serviva, quanto di un disegno che è difficile non definire criminale perché, secondo la procura di Ivrea, il pezzo (il ''forchettone'') il cui mancato inserimento è causa dell'accaduto non era stato dimenticato, ma scientemente non attivato per evitare di bloccare l'impianto a causa di una anomalia al sistema frenante che si protraeva da molte settimane.

Questa non sarebbe più una semplice ipotesi, perché ai riscontri dei primi accertamenti sarebbero seguite delle dichiarazioni dei tre indagati (e da questa notte in stato di fermo, una misura restrittiva resa probabilmente necessaria dal pericolo di inquinamento delle prove o di fuga, posto che, per fortuna, non possono reiterare un comportamento che per la procura è doloso) che confermerebbero un quadro accusatorio abbastanza chiaro.
Non è ancora il tempo di anticipare quel che, in sede giudiziaria, accadrà nelle prossime ore, probabilmente saranno scandite da interrogatori, nomine di periti, analisi dell'impianto per verificare se c'erano e di che entità danni strutturali. Insomma, le ''solite cose'' che accadono in eventi del genere.
Ma oggi c'è forse da aprire una riflessione su come l'Italia non riesca a scrollarsi di dosso quell'aura di furbizia che si porta orgogliosamente dietro come se fosse un vanto, ed invece spesso tracima nella tracotanza, nell'arroganza, in atteggiamenti sprezzanti delle regole.

Prendendo spunto dalla tragedia del Mottarone, ci sarebbe da chiedersi se tutto questo è accaduto, se quattordici vite sono state tranciate solo per non ''fermare le macchine'' e quindi diminuire un introito, oppure è conseguenza della spregiudicatezza alla quale in molti si sentono autorizzati dalla selva inestricabile di leggi regolamenti prescrizioni ai quali ciascun italiano deve sottostare.
Ma il sistema non è fine a sé stesso, ma mira alla salvaguardia della sicurezza di tutti, che è un bene insindacabile, davanti al quale non si può abbassare la guardia. Aspettiamo con curiosità di sapere se e come i tre fermati si giustificheranno, perché, se a loro scusante addurranno che la soluzione scelta era temporanea, il disgusto verso il loro comportamento non avrà comunque fine o attenuazione. Perché il mancato approntamento di tutte le prescrizioni in materia di sicurezza di un oggetto che, carico di persone, pencola a decine di metri dal suolo, non è un azzardo o una scorciatoia, ma semplicemente un crimine.

L'Italia dei furbi ha molte facce: dagli imprenditori che, pur di lucrare, non rispettano le regole a chi, non avendone titolo, percepisce un contributo che non gli spetta, a chi, mettendo il pericolo la vita di altri, salta la fila per il vaccino.
È un'Italia in cui non ci si può riconoscere e davanti alla quale non possiamo limitarci a una semplice esecrazione.
Davanti a accaduto alla funivia e alle vittime innocenti che si lascia dietro (dai morti al piccolissimo Eitan, per la cui vita dobbiamo sperare o, per chi ha la Fede, pregare) occorre una rivolta morale, quale che ne sia il prezzo. Perché la dignità di un Paese e di un popolo non si può barattare.
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