Banalizzare la Shoah per promuovere un libro: è polemica in Francia

- di: Diego Minuti
 
Sino a che punto la libertà d'espressione può arrivare a spingersi? Fino a dove la fantasia di un pubblicitario (così come di un regista, di un attore, di uno scrittore) può essere libera senza offendere il ricordo di un dramma collettivo, come è stata la Shoah?
Per non andare lontano, basta ricordare le polemiche che accompagnarono l'osannato film di Roberto Benigni "La vita è bella" che portò sullo schermo, con grande successo (vinse anche l'Oscar), la storia di un ebreo finito in un campo di sterminio che spende i suoi ultimi giorni per non fare comprendere al figlioletto, che è con lui, l'enormità del Male. Le polemiche furono focalizzate su un punto: dell'Olocausto non si può nemmeno sorridere, perché si rischia di marginalizzarne l'impatto nella Storia.

Un punto di vista che fu condiviso anche da chi ebreo non è e quindi guardava all'opera (che era di fantasia) come a qualcosa che in qualche modo alleviasse l'orrore per i campi di sterminio. A questa analisi si rispose che un sorriso, come forse pure ce ne furono nei campi nazisti, non può certo essere spacciato come un tentativo di ammorbidire il giudizio storico su "quella" Germania. Non si ricadeva, quindi, in quella banalità del male, crudamente descritta da Hanna Arendt raccontando il nazismo, in tutte le grigie declinazioni emerse dalla celebrazione del processo a Adolf Heichmann.

Ma la querelle non s'è spenta perché altre opere (soprattutto film, come il recente "Lezioni di persiano" o, andando indietro nel tempo, il geniale ''Train de vie") hanno dato una versione non esclusivamente drammatica della ferita mai rimarginata dei campi di sterminio. E la polemica è tornata a riesplodere in questi giorni in Francia a causa della martellante pubblicità che si sta facendo ad un romanzo sentimentale, che sarebbe "ispirato ad una storia vera" e che è ambientato ad Auschwitz,
Il romanzo, arrivato nelle librerie francesi il 6 gennaio scorso, scritto dalla neozelandese Heather Morris, è intitolato "Il tatuatore di Auschwitz". Per sostenerne le vendite, in Francia è stata messa su una campagna pubblicitaria massiccia, come quella che si vede ad ogni angolo o fermata della Metropolitana di Parigi.

Ed è proprio sull'immagine scelta per la campagna pubblicitaria che si sono scatenate critiche ferocissime: su uno sfondo a righe bianche e azzurre (che vuole furbescamente ricordare, in toni pastello, l'abito dei deportati del sistema dei campi di concentramento nazisti) campeggia un filo spinato legato delicatamente a formare un cuore.
Al centro del manifesto c'è la copertina del libro ornata da una banda in cui c'è scritto "Già 4 milioni di lettori" sovrapponendosi a un'immagine della torre di guardia centrale del campo di concentramento e di sterminio di Birkenau, all'interno del complesso di Auschwitz. Un luogo di violenza e dolore dove, tra il 1940 ed il 1945, quando arrivarono i soldati russi, trovarono la morte un milione e centomila internati, di cui 960.000 ebrei.

Ma la "chicca" è la scritta in fondo al poster: "Un romanzo rosa ispirato a una storia vera". La campagna pubblicitaria, promossa dalle edizioni "J'ai lu", ha scatenato una ridda di reazioni, soprattutto sui social dove decine e decine di messaggi hanno espresso stupore, disgusto, rabbia.
La direttrice della casa editrice, Hélène Fiamma, ha detto di non avere capito il senso di queste reazioni negative. "Sono sinceramente dispiaciuta se questa pubblicità ha fatto male" - ha spiegato - "ma sono molto sorpresa da questa polemica. Abbiamo avuto diversi incontri. La possibilità che l'immagine scelta potesse apparire fuori luogo non è stata presa in considerazione per un solo secondo".

Ed a questo proposito ha citato i giudizi positivi dei lettori, che si sono detti "entusiasti" e perfino "grati".
Sarà anche così, ma nessuno degli editori che, in altri Paesi, hanno pubblicato il romanzo dell'autrice neozelandese è arrivato a tanto, utilizzando, per pubblicizzarlo, un manifesto così divisivo.
Garzanti, che ha pubblicato in Italia il romanzo lo scorso anno, con il titolo "La ragazza di Auschwitz", ha usato come immagine di copertina e pubblicitaria quella di due mani che si stringono quasi sovrapponendosi al disegno che riporta al binario che conduceva dentro il campo di sterminio i carri piombati pieni di persone che andavano a morire.
Il romanzo racconta la storia d'amore tra due internati ebrei, Lale e Gita, che riescono a sopravvivere, a sposarsi e ad avere un figlio. Ma certamente il riferimento alla "storia vera" che avrebbe ispirato il romanzo è mediaticamente un elemento di attrazione per il potenziale lettore.

"È una storia che ha avuto luogo"
, ripete Hélène Fiamma, che comunque aggiunge che "l'autrice, che ha incontrato il protagonista maschile, ha scritto la storia di questi due esseri, prendendosi alcune libertà con la verità storica, semplicemente perché non è una storica".
Qualche libertà storica? Beh, forse più d'una. Quando il romanzo è stato pubblicato per la prima volta, è finito sotto accusa da parte di Memoria, la rivista che vuole tenere vivo il ricordo di Auschwitz. Secondo Memoria, il romanzo contiene un elenco molto lungo di errori, dando, ed è qui la cosa grave, "una falsa visione globale della realtà del campo" .
Un monito che Hélène Fiamma sembra non raccogliere: "Quale romanzo ambientato in un preciso contesto storico non contiene la sua quota di errori?".
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